Sharon Van Etten, metamorfosi di una cantautrice
La statunitense Sharon Van Etten torna dopo cinque anni e svolta con successo verso l’elettronica
Fra le cantautrici statunitensi maggiormente dotate della sua generazione, in termini di qualità della scrittura e temperamento espressivo, la trentasettenne originaria del New Jersey Sharon Van Etten (dal 2005 newyorkese d’adozione) imprime una svolta sensibile alla propria carriera con il quinto album edito in un decennio esatto.
Ciò accade, com’è logico che sia, in funzione dei cambiamenti intervenuti nella sfera privata. Se agli esordi narrava – con stile asciutto in contrasto all’enfasi emotiva – il trauma di chi è reduce da una relazione segnata dagli abusi (il disco di debutto era intitolato non a caso Because I Was in Love), adesso mette in musica le esperienze di una donna matura: madre da due anni, impegnata a concludere il ciclo di studi in psicologia e professionalmente versatile (ha recitato nella serie televisiva targata Netflix The OA ed è comparsa nei panni di sé stessa in un episodio del sequel di Twin Peaks).
All’ascolto, tale mutamento corrisponde a un distacco dalle ambientazioni tra folk e rock dei lavori precedenti: posata la chitarra, Van Etten si dedica ora alle tastiere (pianoforte, organo, sintetizzatore e persino harmonium), affidando la produzione a John Congleton, sovente al fianco di St. Vincent e in parte responsabile della sua analoga metamorfosi. Distante un quinquennio dal precedente Are We There, Remind Me Tomorrow lo è anche di più in chiave formale. A definirne il profilo sono i brani chiamati a fare da battistrada: “Comeback Kid”, con incedere risoluto e accenti gotici che ricordano – nel timbro vocale – addirittura la regina inglese del post punk Siouxsie Sioux.
Oppure “Jupiter 4”, il cui grave portamento melò sembra ricalcare certe pagine di Kate Bush.
Infine “Seventeen”, dallo slancio quasi pop, salvo sfociare poi in un finale dal tono drammatico, sulle lunghezze d’onda di PJ Harvey.
Il resto non è da meno: dall’iniziale “I Told You Everything”, toccante e sentimentale, alla conclusiva “Stay”, diafana ballata per piano e voce, intercettando strada facendo altre delizie (l’astratta “Memorial Day”, la solenne “You Shadow”, l’assorta “Hands”). È dunque quello di Sharon Van Etten il primo album notevole datato 2019.