L'avant-garde barocca di Jozef Van Wissem:
Nobody Living Can Ever Make Me Turn Back, il nuovo lavoro del liutista olandese prediletto da Jim Jarmusch, in tour in Italia
All’aspetto, sembra uomo di un’altra epoca. E lo strumento – autocostruito – che suona, il liuto, allude a sua volta al passato. Il cinquantacinquenne olandese Jozef Van Wissem, ormai newyorkese d’adozione, è tuttavia personaggio appartenente all’attualità. Oltre a creare le musiche per il videogame The Medieval Sims, si è reso visibile conquistando nel 2013 la Palma d’oro a Cannes grazie alla colonna sonora del capolavoro vampiresco di Jim Jarmusch Only Lovers Left Alive. La partnership con il regista statunitense, anch’egli musicista, benché solo per hobby, ha segnato del resto il tratto recente della sua carriera: due gli album firmati a quattro mani, Concerning the Entrance into Eternity e The Mystery of Heaven (con Tilda Swinton ospite in un brano), datati entrambi 2012, mentre l’anno dopo si sono esibiti in coppia al Primavera Sound di Barcellona.
In cosa consiste il fascino di ciò che produce Jozef Van Wissem? Probabilmente nella dimensione atemporale in cui dà la sensazione di situarsi. Ascoltando questo disco nuovo, ispirato all’opera dell’artista belga Cindy Wright (suo il dipinto effigiato in copertina, tipico di uno stile che si rifà al genere di pittura morta chiamato vanitas, metafora della caducità della vita umana), si rinvengono tracce di barocco, ad esempio in “The Empty Cup of Suffering” o nella magia arcana di “Enable with Perpetual Light the Dullness of Our Blinded Sight”, trattato però con rigore minimalista e deviato verso approdi ambient dall’uso di echi, riverberi e impercettibili interventi elettronici. Van Wissem impiega poi parsimoniosamente la voce: sia approssimandosi alla forma canzone, nel desolato madrigale “The Conversation” o nell’ipnotica “Your Days Gone Like a Shadow” (con timbro da Brian Eno), sia utilizzandola da bordone sullo sfondo, nell’incantevole e malinconica “Golden Bells Ring in the Ears of Earth’s Inhabitants”.
Dove fa più effetto è comunque nell’iniziale “Virium Illarium”, quando all’arpeggio spettrale si sovrappone un mantra cupamente mistico che prelude a un minaccioso monito in latino su interferenze quasi rumoriste: a un passo dal doom metal.
Il ventaglio sonoro esplorato dal protagonista è dunque ampio, incorporando durante il cammino i codici del folk (“Let Us Come Before His Presence In His Hands Are All the Corners” sa di John Fahey) e sfociando all’epilogo in atmosfere cinematografiche (“Our Bones Lie Scattered Before the Pit” può ricordare il Ry Cooder di Paris, Texas). A unificare l’insieme è una sorta di pathos liturgico: non a caso lo si potrà ammirare dal vivo il 18 novembre alla Chiesa Luterana di Trieste e l’11 dicembre alla Chiesa Domenicana di Bolzano, rispettivamente in apertura e chiusura del suo itinerario italiano, con scali intermedi – e “mondani” – a Recanati, Roma, Latina e Schio.