Il mosaico musicale di Fennesz
Dopo cinque anni, un disco nuovo dal maestro austriaco dell’ambient
Ultimamente il produttore viennese Christian Fennesz tende a concedersi con una certa quale parsimonia in forma discografica: il nuovo Mosaic arriva a cinque anni da Agora, a sua volta distante un quinquennio dal precedente Bécs.
Non ha necessità di affannarsi, del resto, avendo consolidato il proprio status agli albori del secolo, quando realizzò pietre miliari come Endless Summer (2001) e Venice (2004), per arricchirlo poi di collaborazioni al fianco di estimatori d’alto bordo tipo Ryuichi Sakamoto e David Sylvian, nonché di altre meno appariscenti eppure notevoli nei risultati, ad esempio con il duo torinese OZmotic, ancora nel 2023 in Senzatempo.
Possiamo immaginare, dunque, che scelga di esporsi solo in presenza di qualche urgenza creativa. Il mosaico da lui architettato nei mesi scorsi seguendo una procedura di lavoro insolitamente metodica corrisponde al suo “album finora più riflessivo”, ci informano le note introduttive affidate a Bandcamp.
Dalla medesima fonte apprendiamo inoltre che dei brani inclusi uno – “Personare”, dal verbo latino titolare della radice etimologica del vocabolo “persona” – sarebbe influenzato dal pop africano d’antan, di cui francamente non v’è traccia nei cinque minuti di durata, contraddistinti semmai da una sorta di rumorismo shoegaze dai risvolti psichici, e un altro – il conclusivo “Goniorizon”, neologismo che mette nell’angolo (il greco “gonio”) l’orizzonte anglofono – trae origine da “sei riff di chitarra hard rock”, mutati però a tal punto da assumere le sembianze di un organo da chiesa vetrificato.
Si tratta di paradossi acustici generati dal caratteristico canone produttivo di Fennesz, che ottiene musica filtrando il suono della chitarra elettrica attraverso il laptop. Un processo qui evidente in “Love and the Framed Insects”, dove il riverbero deformato dello strumento determina un effetto onirico di austera intimità. L’iniziale “Heliconia”, dedicato nominalmente a una famiglia di sempreverdi tropicali, dopo una prima parte che nasce in ambiente amniotico ma finisce per sfociare in un crescendo di solennità sinfonica, si placa raggiungendo una dimensione estatica scandita da sporadici rintocchi chitarristici.
A esplorare il lato oscuro provvede l’enigmatico minimalismo di “Man Outside”, guidato da un bordone di profondità abissale, mentre a “Patterning Heart” è assegnato il compito di rasserenare l’atmosfera con il suo respiro paesaggistico. Nell’insieme, Mosaic costituisce un’esperienza emotivamente intensa, rivelando all’ascolto – caldamente raccomandato quello in cuffia – i dettagli di un ecosistema sonoro dalla complessità avvincente.