La seduzione insidiosa di Aldous Harding

Designer, terzo album della cantautrice neozelandese Aldous Harding, è dotato di uno strano fascino sibillino

Aldous Harding - nuovo album
Aldous Harding
Disco
pop
Aldous Harding
Designer
4AD
2019

Ascoltandole in modo distratto ci si potrebbe fare l’idea che si tratti di canzoncine pop senza grandi pretese: graziose, sì, ma sostanzialmente irrilevanti. Una cantautrice fra le tante, Hannah Harding, ribattezzatasi Aldous: ventottenne neozelandese figlia d’arte (la madre era folksinger dal discreto successo) giunta alla terza prova discografica, come la precedente – Party – prodotta da John Parish e distribuita dall’influente indipendente londinese 4AD.

Basta però prestare attenzione a ciò che canta per cambiare opinione. Ad esempio, su lieve arpeggio di chitarra e misurate guarnizioni al piano, in “The Barrel”, cui è spettato il ruolo di apripista: “L’onda dell’amore è un dolore transitorio, l’acqua è il guscio e noi siamo il nodo”.

Dal relativo video si comincia a percepirne l’eccentricità: abbigliamento, movenze, sguardo e quella maschera (!) suggeriscono una vaga sensazione di straniamento. L’esperienza si può ripetere con “Fixture Picture”, brano incaricato di aprire la sequenza: una ballata tenue e in apparenza carezzevole. A un certo punto dice: “Sono accesa, non sono mai avvampata così luminosamente. Com’è il vino dove vivi? Scommetto che è caro. Un giorno ne condivideremo un bicchiere insieme e cavalcheremo sulle dune”.

Un’opera di seduzione, ma dalla sua postura sensuale trapelano indizi inquietanti.

E dunque Designer è un disco degno di essere maneggiato con cura. Benché sia più solare del penultimo e meno scarno dell’esordio datato 2014, non è affatto innocuo come sembra. Dietro il garbo e l’eleganza della scrittura, qualità esemplificate nitidamente dall’episodio che gli dà titolo, si celano insidie sottili.

All’epilogo ecco “Pilot”, a proposito, elegia minimalista per pianoforte e canto: “Avrei voluto fosse bianco, ma ci vuole sangue per una nuova erezione. Cerco di essere leggera, smetto con le volgarità, ma sono codarda e aveva ragione Camus”.

Con stile incantevole, Aldous Harding imbastisce una messinscena dal tono impercettibilmente surreale (“Che ci faccio a Dubai? Nella primavera della mia vita, mi ami?”, durante “Zoo Eyes”, mentre la voce ondeggia fra un timbro basso alla Nico e un falsetto da Lolita), screziata da dubbi esistenziali (“La gente mi domanda sempre cosa voglio. La risposta è una sola: il paradiso è vuoto”, in “Heaven Is Empty”), con improvvisi squarci di vulnerabilità (“Puoi fare un po’ di spazio sulla sedia? Qualcosa a forma di scatola per una donna frivola”, all’inizio di “Damn”). A volte l’effetto è davvero sconcertante: in “Weight of the Planets”, a dispetto di un esotico andamento lounge, le parole comunicano apprensione (“Vedo nei tuoi occhi il peso dei pianeti e ne vengo risucchiata”).

Irretiti dall’atmosfera intimista e disorientati dai testi sibillini, si finisce per rimanerne incantati senza capire bene perché.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

pop

Un sermone (in sanscrito) da Father John Misty

Mahashmashana, nel segno di un massimalismo esistenzialista, è il sesto album di Father John Misty

Alberto Campo
pop

La prima da solista di Kim Deal

Nobody Loves You More è il primo album dell’icona femminile dell’indie rock statunitense

Alberto Campo
pop

L'album di famiglia di Laura Marling

Il nuovo disco della cantautrice inglese Laura Marling nasce dall’esperienza della maternità

Alberto Campo