Iran, una psichedelia per l'Antropocene

Æmilia è il lavoro d'esordio degli Iran, trio strumentale emiliano

Iran Band
Disco
pop
Iran
Æmilia
Agoo Records
2021

Ci sono musiche che, ad ascoltarle anche per la prima volta, scatenano un fascino indefinibile, catturano l'attenzione e ti costringono a stare lì, con le orecchie attente. Non hanno “hook” melodici particolari, non rincorrono la falena fragile della strofa-ritornello, eppure hanno una forza di presenza quasi indescrivibile.

Sono le musiche che affondano le unghie nella polpa viva del nostro disagio, fors'anche del nostro vivere attuale per rade, scarne illuminazioni che lasciano intuire qualche prospettiva futura. Mettiamola così, con un termine che oggi va di moda, e non merita di finire invece nella palude malmostosa delle mode verbali: ci sono musiche inclassificabili (comunque afferenti la sfera della popular music nel senso ampio anglosassone) che sembrano perfette fotografie dell'Antropocene, quel periodo in cui Sapiens ha fatto del suo peggio per avvelenare il pianeta e se stesso e riempirlo di macchine inutili, fingendo che fossero senza fine le risorse finite della vecchia terra.

Æmilia è un disco che potrebbe quasi funzionare da perfetto exemplum di quanto sin a qui sostenuto. Un disco avvincente, indefinibile, misteriosamente efficace in ogni suo tratteggio, dipanato su tempi medi e lunghi e minutaggi estesi. Gli Iran sono Nazim Comunale (anche giornalista, trovate spesso la sua firma anche sul gdm), impegnato a tastiere analogiche da esausto modernariato, percussioni, samples tratti anche da registrazioni sul campo; Andrea Silvestri alla chitarra; Rodolfo Villani alla batteria.

Al trio di base si aggiunge il ficcante sax baritono di Alessandro Cartolari dei grandissimi Anatrofobia su "Qom”, e Francesco Massaro al clarinetto su "Regium Lepidi". La musica di Iran è un viaggio senza garanzie di rimborso biglietto in un mondo poco pacificato fatto di strappi e ulcere sonore. È ambient music in cui fondali scuri e vischiosi vanno a incrociare abissi ancor più cupi.

Come se i Godspeed You! Black Emperor decidessero di riassumersi in trio con attitudine punk, o i Mogwai attraversassero una crisi di identità dopo un bel soggiorno forzato in un campo profughi. È math rock spezzato che non riesce a trovare la quadra, è un'indagine sul fondo del pozzo, sporgendosi da bordi che già sanno di giramenti di capo. Crepitio di tastiere analogiche, battito che cerca la continuità e si sfarina all'infinito in mille false piste laterali, è anche qualche squarcio di luce che, quando balugina, illumina un paesaggio di macerie. Psichedelia raggelata.

L'ha scritto anche Marc Augè, a proposito di Antropocene: la nostra epoca è diversa da tutte le altre perché non riesce a produrre più nobili rovine, ma solo macerie. Mettere in musica il tutto e farlo funzionare riesce a pochi. Come gli Iran.

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