Hauschka, minimalismo filantropico
Reduce dall’Oscar per Niente di nuovo sul fronte occidentale, il tedesco Volker Bertelmann pubblica il nuovo album Philanthropy
Dopo essersi aggiudicato nel 2022 l’Oscar per la colonna sonora di Niente di nuovo sul fronte occidentale, firmata con le vere generalità e culmine di una fitta attività in ambito cinematografico, il 57enne Volker Bertelmann torna a mimetizzarsi dietro lo pseudonimo adottato un paio di decenni fa, appropriandosi del cognome di un oscuro compositore boemo vissuto a cavallo fra XVIII e XIX secolo: Vinzenz Hauschka.
Dichiarando di volersi riconnettere con lo spirito che lo animava allora, esordiente formato dagli studi accademici ma distratto poi dalle sirene dell’attualità musicale, nell’album consacrato alla filantropia rimette al centro della scena lo strumento elettivo: il pianoforte preparato. Si distanzia così dalle esperienze più recenti: tanto il tributo all’hip hop – sua passione giovanile – reso in What If (2017), quanto la digressione in habitat “colto” compiuta con A Different Forest, lavoro edito nel 2019 da Sony Classics.
Di tale attitudine è testimonianza l’iniziale “Diversity”, sviluppato in maniera garbata e ingegnosa seguendo un tracciato di scuola minimalista che potrebbe ricordare Wim Mertens. Su un registro analogo, benché maggiormente inquieto in termini emotivi, si muove poco oltre “Inventions”, fra gli apici della raccolta.
Nei brani citati finora è rilevante la componente ritmica, affidata al tamburo turco chiamato davul e agli interventi dell’islandese Samuli Kosminen (batterista nei Múm): elemento costitutivo soprattutto in “Altruism”, che superato l’incipit astrattista sfocia in un groove da locale notturno, riannodando i fili con l’esperimento al confine tra house e techno da lui realizzato nel 2012 in Salon des Amateurs.
È il preludio all’epilogo, allestito viceversa su un rarefatto fondale ambient utilizzando la traccia – "Noise" – che in origine avrebbe dovuto accompagnare i titoli di coda del film premiato con l’Academy Award.
A quel canone si riferiscono altri episodi significativi di Philanthropy: da “Searching”, ombreggiato da sfumature gotiche, a “Detached”, immerso invece in una bruma impressionistica di natura elettronica, mentre in “Magnanimity” l’insistenza del loop introduttivo è temperata dalle malinconiche carezze degli archi (violoncello e violino, maneggiati rispettivamente da Laura Wiek e Karina Buschinger) e nella sua essenzialità “Limitation of Lifetime” esalta il trasporto lirico dell’opera.
Presentandola, l’autore ha detto. «Dopo gli ultimi due anni, in cui tutti si preoccupavano di come la vita potesse continuare, sentivo il bisogno di pubblicare un disco che contribuisse ad aprire un po’ le finestre. Volevo essere positivo, mettere dell’energia nella musica, non suonare soltanto pezzi lenti e deprimenti».
Dovessimo indicare un singolo brano per esemplificare quell’intenzione, sceglieremmo l’amorevole “Loved Ones”, dove un delicato arpeggio di piano decorato con sobrio arredo cameristico genera una suggestiva simbiosi di empatia e romanticismo.
Nel marasma dei nostri giorni, insomma, Philanthropy offre un ascolto disintossicante.