Foja: Naples Power-Folk
Terzo album per la band di Napoli, sulla linea nobile del rock partenopeo
Scorre molto sangue folk nel solido e arrembante corpo rock dei napoletani Foja. Si tratta solo di intendersi su che cosa sia “folk”, senza la pretesa di circoscrivere fenomeni che tracimano ogni definizione, come ci insegna la musicologia della popular music attuale. Se siete in cerca di decorazioni posticce, di profumi e aromi “etnici”, magari una “sesta napoletana” piazzata al posto giusto, uno schioccare di tricchebballacche, uno sfregamento impertinente e sensuale di putipù qui non ne troverete. Perché la linea frontale dei Foja predilige il gioco di sponda di due chitarre, quasi sempre elettriche. Innestate su una canonica quadratura ritmica molto rock.
Però spesso si infiltra altro: il banjo, o il mandolino di Luigi Scialdone, e sono piccole epifanie curiose, come se ci fosse un ricordo straniato di improbabili R.E.M. partenopei, vedi ad esempio la quarta traccia, “Nunn'è cosa”. E poi si insinua anche la ondulata, composta presenza di una vero quartetto d'archi, in diversi episodi. Dunque, quale folk? Quello sedimentato di una generazione che ha fatto in tempo a diventare storia musicale moderna, arrivando proprio dai dintorni del Vesuvio, ed ha avuto subito in mano e contemporaneamente chitarre acustiche e chitarre elettriche.
Quella linea che mette assieme Edoardo Bennato e il jazz rock napoletano classico e per sempre “futuribile” di James Senese e di Daniele Sepe: due nomi su tre qui sono ospiti e presenti, a regalare cammei di presenza discreta, e sono proprio quelli di Bennato e di Sepe. Ma anche Senese o Avitabile ci sarebbero stati bene. Fatto anche cenno ad un'altra presenza, stavolta dichiaratamente rock – quella di Ghigo Renzulli dai Litfiba – resta da dire che la bella voce scura di Dario Sansone è in diretta comunicazione con i timbri di scuro velluto di Raiz, tanto per restare sulla lunga linea rossa campana. Testi belli, amari, malinconici e per nulla rassegnati. Un lavoro riuscito, da un gruppo che ha passato la boa del decennale.
La foto di apertura è di Riccardo Piccirillo