L’avventura globalista di Go Dugong e Washé

Madre è il frutto musicale di un viaggio nella Foresta Amazzonica

Go Dugong
Disco
world
Go Dugong & Washé
Madre
42 Records
2024

Celato dietro uno pseudonimo riferito a un mammifero marino a rischio di estinzione, il produttore tarantino Giulio Fonseca – Go Dugong – aveva espresso già in passato attitudine “globalista” e vocazione cosmopolita attraverso mosaici sonori realizzati con minuzia artigianale impiegando tasselli ricavati dal folklore planetario (ad esempio in Curaro, nel 2018) o dal territorio di origine (Meridies, 2021). 

Il suo percorso culmina ora in Madre, album creato insieme al venezuelano Carlos Conde, in arte Washé, promotore della musica indigena incontrato nel 2022 grazie al network transoceanico Hape Collective. 

Novelli Fitzcarraldo, senza averne tuttavia le manie di grandezza, i due si sono avventurati nella Foresta Amazzonica a caccia di suoni e ispirazione, affrontando “un viaggio dal conflitto alla condivisione” dentro l’essenza selvatica della Natura. 

 Go Dugong ne ha descritto l’habitat così: “È un luogo che ha un’energia unica e potentissima, non adatto alla tipologia di esseri umani che siamo diventati, totalmente disconnessi da quel mondo”. Una sorta di esperienza iniziatica da cui è derivato il contenuto del disco, dove i rumori captati strada facendo e gli strumenti della tradizione locale dialogano con le apparecchiature elettroniche. 

Esemplare è “Selva”, episodio nel quale l’intreccio fra analogico e digitale sfocia in un ipnotico groove da rave nella giungla. 

 Meno dinamico, ma altrettanto ammaliante, è “Caos Armónico”, che evoca un’atmosfera da rituale sciamanico e si avvale del contributo di Clap! Clap!, altro “globalista” nostrano al pari di Khalab, ospite invece nel suggestivo mantra tropicale di “Autana”. 

 Vi sono poi complici musicali reclutati in zona: l’85enne tastierista jazz Gerry Weil, nato in Austria ma residente da tempo in Venezuela, qui artefice della malinconica melodia imbastita al piano durante la struggente “Oda a la Madre”, e il pioniere della scena elettronica di Caracas Miguel Noya, corresponsabile dell’esoterica figurazione ambient allestita in “Yopo”.

 Al cuore dell’opera sta comunque, non solo in ordine cronologico, “La Gran Danza de los Animales”: scandito da un ritmo pigro e innervato dai fraseggi minimalisti dei flauti, è un eloquente condensato dell’avvincente suggestione esotica comunicata da Madre, album avventuroso nel senso pieno del termine.

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