Claudio Ambrosini ridipinge i suoni di Venezia
Con Plurimo il compositore veneziano ripercorre la storia della sua città attraverso la sua musica
Più che un tentativo di riunire in un unico disco le composizioni degli ultimi anni, Claudio Ambrosini si figura in musica attraverso i suoni di Venezia, la sua città: è questo Plurimo, da poco uscito per Stradivarius.
Commissionate per il Festival Milano Musica, le trascrizioni delle due Canzoni e della Sonata di Giovanni Gabrieli ricercano gli echi della Repubblica Serenissima per risuonare ora al cuore del nostro tempo. Se da un lato nessuna nota dell’originale è stata alterata, dall’altro l’organico strumentale si è irrimediabilmente ampliato per poter operare su nuove combinazioni tra i vari strumenti dell’orchestra, parallelamente all’inserimento di una fornita serie di percussioni. Tratta dalle raccolte Canzoni et sonate… per sonar con ogni sorta di stromenti e Sacrae Symphoniae, l’unica opera di Gabrieli pubblicata mentre l’autore era ancora in vita, queste musiche vengono così accarezzate da velate dissonanze e efficaci espedienti ritmici, sul solco del rinnovo della musica strumentale tanto perseguito nelle sperimentazioni dell’organista di San Marco.
L’arte di suonare, o meglio, “tocar" la tastiera del pianoforte, fino a percorrere direttamente le corde, trova amplificazione nei suoni dell’orchestra. Ecco come il titolo di questo Concerto per pianoforte rivisita l’antica tradizione strumentale per manipolarne l’intento, in sonorità in cui guizzi coloristici si alternano a oasi più distese, all’interno delle quali trovano riparo gestualità strumentali che sembrano sovrapporsi ad alcune reminiscenze pianistiche.
Oltre a dare il titolo al disco, Plurimo rappresenta un traguardo importante per la carriera del compositore. Scritto nel 2007 in occasione della consegna del Leone d’oro per la Musica del presente alla Biennale di Venezia, qui la forma del Concerto accoglie il dialogo tra due pianoforti, i cui esiti si risolveranno nelle esasperate effusioni orchestrali. Il titolo riprende nel nome uno dei cicli più importanti del pittore Emilio Vedova, che proprio con quest’opera arriva a staccare il quadro dalla parete pur di installarlo nello spazio, frammentando la superficie pittorica in un insieme di elementi separati, eppure immediatamente connessi tra loro. Ambrosini sembra ricercare nell’organicità del colore, nella forza del gesto e nell’energia che quest’opera sprigiona l’elemento vitale del suo suono, così come la forza della luce si sprigiona in un gioco di contrasti inscenato dalla voce del fagotto, il pittore esausto, e quella dell’orchestra in Morte di Caravaggio.
Colore e gesto si stagliano grazie alle possibilità dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, l’Orchestra della Toscana e del Teatro La Fenice, per mano di Pierre-André Valade, John Storgards, Marco Angius e Mario Venzago, e grazie alla partecipazione di alcuni interpreti di spicco del panorama musicale contemporaneo, il fagotto di Paolo Carlini e i pianisti Emanuele Arciuli e Francesco Libetta, oltre al fido Aldo Orvieto, già compagno di viaggio nell’ensemble fondato dallo stesso Ambrosini.
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, ORT Orchestra della Toscana, Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia.
Direttore: Pierre-André Valade, John Storgards, Marco Angius, Mario Venzago.
Interpreti: Emanuele Arciuli, Francesco Libetta, Aldo Orvieto, Paolo Carlini.