African Head Charge tra luci e ombre
Nuovo album per gli African Head Charge, dopo dodici anni
Gli African Head Charge si affidano ancora una volta alla On-U Sound per il loro nuovo album, dodici anni dopo Voodoo Of The Godsent.
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Intitolato A Trip to Bolgatanga, il disco è opera del membro fondatore Bonjo Iyabinghi Noah, percussionista e vocalist di origine giamaicana, con l’aiuto del suo buon amico nonché compagno di cospirazione Adrian Sherwood, ancora una volta at the controls.
A Trip To Bolgatanga è un viaggio musicale nell’attuale cittadina di residenza di Bonjo nella parte settentrionale del Ghana, un diario di viaggio psichedelico attraverso il paesaggio rurale circostante in cui compaiono i loro marchi di fabbrica a cui ci hanno abituati fin dal 1981, vale a dire le percussioni suonate a mani nude e i canti di gruppo accresciuti dal basso rombante, dai fiati “effettati”, dal wah-wah selvaggio, dalla dancehall infestata dal voodoo, da strati di effetti elettronici, da atmosfere debitrici nei confronti del blues e da un organo funky.
Dodici anni di silenzio, dicevamo, interrotti da due album di versioni inedite di canzoni già pubblicate e outtakes, Return of the Crocodile (2016) e Churchical Chant of the Iyabinghi (2021), entrambi su etichetta On-U Sound. «Nei dodici anni trascorsi, ho passato tempo in Ghana con la mia famiglia ma ho ancora creato cose», ha detto Noah nel corso di una breve intervista concessa a Resident Advisor.
«Ho ancora un sacco di cose da far uscire. A questo punto della mia vita ho voglia di lavorare ma voglio anche godere del tempo che posso passare con la mia famiglia. Quando mi diverto sono anche creativo, la felicità aiuta la creatività».
Attivi sin dall’inizio degli anni ottanta, African Head Charge presero ispirazione, per loro stessa ammissione, dalla “visione di un’Africa psichedelica” di Brian Eno, al punto da usarla come titolo del loro album del 2005. Gruppo a geometria variabile, nel corso di più di quarant’anni ha visto alternarsi al suo interno musicisti del calibro di Junior Moses, Sunny Akpan, Eskimo Fox, Gaudi, Skip McDonald, Doug Wimbish, Ghetto Priest e Jah Wobble, e ha realizzato una quindicina di album, con i soli Noah e Sherwood sempre presenti, dando vita, secondo molti, alla musica più audace e gratificante della On-U Sound.
Da My Life in a Hole in the Ground del 1981 (un riferimento a quello che era già a sua volta un riferimento ad Amos Tutuola da parte di Brian Eno e David Byrne) al già citato Vision of a Psychedelic Africa (un riferimento questa volta al solo Eno), i loro album hanno coniugato deep dub, percussioni, strumenti provenienti da varie parti del mondo e suoni “catturati”.
Ricordate quella celebre frase attribuita proprio a Brian Eno? «Il primo disco dei Velvet Underground vendette diecimila copie ma ognuno di quei diecimila acquirenti formò una band». Bene, proprio come i Velvet Underground, gli AHC hanno avuto più influenza che successo: riconosciamogli allora che in quel territorio musicale compreso tra gli Orb e i Transglobal Underground in molti hanno un debito nei loro confronti.
Come giustamente sottolineato dal quotidiano britannico Financial Times, Rex Asanga, amministratore del distretto di Bolgatanga, dovrebbe considerare di dare un premio o almeno un ringraziamento al suo responsabile culturale e a quello delle relazioni pubbliche. Quest’area infatti sta guadagnando molta attenzione in campo musicale: all’inizio di quest’anno l’eroe locale King Ayisoba ha pubblicato l’ennesimo album ottimamente ricevuto dal pubblico, Work Hard; un paio di settimane fa la leggenda Frafra del gospel Alogte Oho and His Sounds of Joy ha dato alle stampe This is Bolga!, e ora gli African Head Charge, e di nuovo Bolgatanga compare nel titolo e nel contenuto musicale.
In questo nuovo album, articolato in dieci canzoni, il gruppo abbandona l’espansività dei lavori precedenti per focalizzarsi sul mondo sonoro del Ghana settentrionale; “A Bad Attitude” è il brano d’apertura e facciamo subito la conoscenza del kologo, il caratteristico liuto a due corde che suona come uno ngoni, suonato qui come in altri momenti del disco da King Ayisoba in persona.
«Un cattivo atteggiamento è come uno pneumatico a terra: non puoi andare da nessuna parte finché non lo cambi» - A Bad Attitude
“Accra Electronica” è caratterizzata da beat metropolitani ma per la maggior parte dei brani l’atmosfera è rurale, come in “Push Me Pull You”, che combina insetti ronzanti e il canto degli uccelli con inquietanti strumenti a fiato.
In “Never Regret a Day” flauti acuti, tipici dei cacciatori della zona, forniscono un coro. Il brano che dà il titolo all’album si apre con pattern di kologo intrecciati che evolvono in una melodia di piano con improvvise esplosioni di fiati, quegli stessi, memori della mitica Aswad Horn Section, su cui è costruita “Passing Clouds”.
Ovviamente la star of the show è l’ipnotizzante stile percussivo di Noah, al suo apice in “Microdosing”, brano che ancora più di altri avrebbe meritato una lunghezza maggiore al fine di poter avvolgere completamente e mandare in trance l’ascoltatore.
E alla fine rimane un po’ di amaro in bocca, soprattutto se ripensiamo ai dischi dei giorni gloriosi degli anni ottanta: per carità, A Trip to Bolgatanga è prodotto magistralmente ma risulta per essere troppo pulito, troppo “beneducato”. Com’è già successo coi dischi di Lee “Scratch” Perry e Horace Andy – di cui abbiamo ampiamente parlato - spero con tutto il cuore che anche questo disco entri nella echo chamber per ricevere il dub treatment che si merita.
P.S. Un ringraziamento ad Alessandro “Gambo” Gambarotto per averci provato (lui sa a cosa mi riferisco).