L'opera di Lachenmann in un nuovo allestimento e con nuove soluzioni spaziali ha convinto per intensità, ma soprattutto, per immediatezza.

Sezioni musicali composte e stabilite fin nel più piccolo dettaglio; improvvisazione collettiva – determinazione e indeterminazione -; prestiti stilistici, citazioni e melodie dal sapore etinico; live eletronic, jazz, tonalità e avanguardia: questo e molto altro nella prima opera del compositore austriaco Wolfgang Mitterer. Eppure sarebbe un grave errore parlare di "postmoderno".

Passati 10 anni dalla prima di questo allestimento della Calisto, la regia di Herbert Wernicke è più attuale che mai e sembra volerci ricordare che la sola esecuzione leggittima per le opere del Seicento è quella in forma scenica, differentemente dall'uso instauratosi di presentare al pubblico noiose e scialbe esecuzioni concertanti.

Ozawa conduce l'orchestra con raffinatezza e ne estrae tutte le peculiarità espressive, ricordandoci che in un particolare periodo della storia della musica "romanticismo" e "strutturalismo" vivevano sotto lo stesso tetto orchestrale.

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