Tracanna e Milesi, coppia di sax

Intervista doppia a Tino Tracanna e Massimiliano Milesi: un dialogo tra generazioni

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jazz

Quando li avevamo ascoltati dal vivo in duo al festival di Bergamo, avevamo definito la loro performance un “dialogo fatto di contrappunti e polmoni”. Si tratta di Tino Tracanna e Massimiliano Milesi, professione sassofonisti jazz.

Due generazioni a confronto. Due sensibilità che si uniscono per un progetto che ora, in quartetto con contrabbasso e batteria, ha pubblicato uno splendido disco, Double Cut (UR Records) in cui danno vita a una musica di trasversale intensità, ricco di timbri differenti – ai vari componenti della famiglia dei sassofoni si aggiungono melodica e fischietti – e di traiettorie avventurose.

Abbiamo deciso di fare loro un’intervista doppia, per raccontarsi, confrontarsi, intrecciarsi in contrappunto come fanno, benissimo, su disco e dal vivo.

Come vi siete conosciuti e qual è stata la prima impressione che avete avuto dell’altro ? Siate sinceri!

MILESI: «Ci siamo conosciuti durante la mia audizione per l’ammissione al corso di jazz del Conservatorio di Milano del quale Tino è direttore. La sua fama musicale, ovviamente, lo precedeva essendo oltre che uno dei maggiori esponenti del jazz nazionale anche una delle figure musicali di spicco della mia città. Ho provato pertanto una certa soggezione al primissimo impatto, subito mitigata dal suo garbo (la cosa mi fu d’aiuto anche nel placare la tensione in vista di un esame).
Se devo trovare un aggettivo direi che la prima impressione che ho avuto, è stata quella di una persona estremamente educata e gentile. Nei giorni che seguirono, parlando e scambiandoci opinioni, capii che avevamo molte idee musicali affini ed entrambi una buona conoscenza della musica contemporanea. Ho scoperto in Tino, inoltre, una fonte di sapere non indifferente. Questo è stato, secondo me, il perno su cui si sono poi basati il nostro sodalizio musicale e la reciproca stima». 

TRACANNA: «Sì, paradossalmente pur vivendo tutti e due a Bergamo io e Massimiliano ci siamo conosciuti in Conservatorio a Milano. Ho avuto subito simpatia ed interesse per Max. C'erano diverse affinità e gusti musicali comuni, entrambi eravamo interessati alla musica contemporanea ed anche ad altre cose bizzarre tipo le teorie cosmologiche o della fisica quantistica senza peraltro capirne granché ma che ci facevano discutere parecchio...».

Passiamo al vostro disco Double Cut. Come nasce, come ci avete lavorato, quali sono le coordinate espressive che avete seguito e come il lavoro in duo – che ho ascoltato a Bergamo Jazz – e quello in quartetto sono legati?

MILESI: «Il progetto Double Cut nasce come duo. Le origini del progetto potrei definirle “ludiche”. Durante gli anni degli studi in Conservatorio capitava spesso di discutere delle problematiche prettamente tecniche legate al nostro strumento. Abbiamo scoperto così un nuovo elemento di comunanza: la passione, se non l’ossessione, per la storia e lo sviluppo del sassofono. Possedendo entrambi diversi modelli storici del nostro strumento e abitando a pochissimi chilometri di distanza, abbiamo cominciato a trovarci saltuariamente per testare i diversi modelli in nostro possesso e poterne saggiare le qualità carpendone le differenze timbriche e tecniche.
Capitava così di suonare spesso in duo, talvolta improvvisando su uno standard, talvolta eseguendo un’invenzione a due voci di Bach. Col passare del tempo gli incontri si sono fatti più frequenti e un giorno (non ricordo chi per primo lanciò l’idea, molto probabilmente Tino) iniziammo a pensare che un duo di sassofoni fosse una formazione molto inusuale e intrigante. Cominciammo così a pensare alla creazione di un progetto preparando materiale o scrivendo pezzi ad hoc. 
Da subito abbiamo di inserire gli elementi musicali che ci accomunavano: la musica contemporanea, un certo tipo di improvvisazione radicale, la musica di Bach, i canti popolari e i blues arcaici. Dopo i primissimi concerti abbiamo deciso però di ampliare l’organico aggiungendo una sezione ritmica. Per due motivi principali: un accompagnamento musicale ci permetteva di concentrarci maggiormente sullo sviluppo timbrico e musicale dell’esecuzione e ci consentiva di faticare molto meno (con due soli sax bisogna soffiare per l’intero concerto… è una prova di resistenza massacrante).
Abbiamo così riarrangiato l’intero repertorio e chiamato Giulio Corini al contrabbasso e Filippo Sala alla batteria, dando vita al quartetto che è oggi.
Abbiamo scelto una formazione senza pianoforte per sviluppare maggiormente gli effetti contrappuntistici e per “omaggiare” formazioni storiche a noi care come quella di Complete Communion di Don Cherry o i quartetti di Ornette Coleman. È chiaro quindi che la nostra direzione artistica andava verso le forme della musica improvvisata contemporanea e del jazz d’avanguardia. La formazione primigenia in duo è l’embrione di questo progetto e con il tempo ha preso una vita propria; abbiamo modificato il repertorio e rinominato il progetto. Esistono quindi due strade di questa nostra ricerca sulle potenzialità del sassofono: il quartetto Double Cut e il duo Box (complementari ma indipendenti).

TRACANNA: «Come ha detto Massimiliano, lui e io abbiamo cominciato a frequentarci per confrontare strumenti e imboccature (malattia che purtroppo affligge entrambi) ed è venuto naturale cominciare a suonare e studiare insieme. È nata quindi l’idea di un duo di sax cosa per nulla semplice. Durante le prove, oltre a cose jazzistiche ci siamo messi a suonare anche le invenzioni a due voci di Bach ed è stato subito molto naturale pensare che questo duo dovesse spaziare su tutti fronti senza porci limiti di genere. Da qui l’interesse a sperimentare anche sonorità adiacenti alla musica contemporanea per poi passare al blues raffinato di Jimmy Giuffre ma anche a sonorità rock rivedute e decontestualizzate per arrivare addirittura ai canti alpini, tutte cose lontane ma coniugabili tra loro grazie allo spirito iniziale di cui ho già detto. Ci abbiamo lavorato parecchio portando avanti il progetto e facendo dei concerti.
Quando abbiamo pensato di aggiungere una ritmica, avevamo gli uomini giusti e da lì è partito il nuovo progetto che ha mantenuto sostanzialmente questo imprinting lavorando ovviamente sulla parte ritmica e armonica nella quale Giulio e Filippo hanno avuto un ruolo decisivo e di grande arricchimento».   

Cosa il suonare con Tino ti ha svelato del tuo modo di suonare che prima non sapevi?

MILESI: «Tino è stato il mio maestro e moltissime caratteristiche del mio stile sono dovute alla sua guida. Da un certo punto di vista è ancora il mio maestro visto che imparo sempre qualcosa da lui. Ha saputo analizzare bene il mio modo di suonare e mi ha aiutato a perfezionarlo suggerendomi ascolti di sassofonisti che si avvicinano al mio stile. Ho preso coscienza del mio modo di suonare “dinoccolato” – come dice lui – e con molti rimandi ai “vecchi" tenoristi come Ben Webster, Coleman Hawkins o Arnett Cobb».

Cosa il suonare con Massimiliano ha apportato al tuo modo di suonare che prima non sapevi?

TRACANNA: «Sicuramente ci siamo influenzati a vicenda nell’utilizzo dei materiali. Max mi ha fatto provare i suoi e io i miei, ore e ore di esperimenti, e alla fine ci sono stati dei reciproci cambiamenti.
Dal punto di vista strettamente musicale l’idea diversa del suono, dell’approccio allo strumento e del fraseggio di Max è stata per me molto stimolante ma non credo che ci siamo inseguiti più di tanto. È proprio questa differenza che dal mio punto si vista fa funzionare il connubio. Anzi, suonando lo stesso strumento, nell’ambito dello stesso brano può succedere che naturalmente ci allontaniamo l’uno dall’altro per creare varietà. Mentre provavamo col duo è successo qualche volta che cominciassimo a farci reciprocamente delle domande tipo: “ma cosa stai facendo adesso? Da cosa viene questo pezzo?”.
Questo più per interesse dell’oggetto musicale o del principio che per imitarne la realizzazione formale e inglobarla nei nostri reciproci linguaggi che alla fine procedono per proprio conto. Nonostante questa considerazione immagino che un po’ di influenze reciproche sotto sotto siano passate magari in maniera non così razionale. Anzi riflettendoci una cosa sicuramente gliel'ho rubata: un’idea formale per l’accompagnamento di un solo che ho inserito in una mia composizione che stavo scrivendo in quel periodo.
Mi sembra interessante aggiungere che condividere con un musicista della sua generazione le percezione sia rispetto alle opere storiche che rispetto ai nuovi progetti che si sentono in giro è sempre una cosa molto molto interessante».

Tre sassofonisti che sono il tuo riferimento, uno che credi sottovalutato e uno che proprio non capisci/ami/stimi.

MILESI: «I miei sassofonisti di riferimento sono ovviamente un gruppo eterogeneo che va da Ben Webster fino a Chris Speed passando per Gato Barbieri, Albert Ayler, Michael Brecker e Joe Lovano (per citare i più significativi per la mia crescita).
Ovviamente nessuno di questi è sottovalutato, ma ce n’è uno (una passione assai recente) che è ancora troppo poco conosciuto in Italia: l’islandese Óskar Guðjónsson (a mio avviso un poeta del jazz nord-europeo).  Adoro e stimo tutti questi sassofonisti, ma ce n’è uno che non mi ha mai appassionato troppo: Mark Turner. Subii un’infatuazione circa quindici anni fa sentendolo dal vivo in un concerto durante il Bergamo Jazz Festival. La cosa ha lasciato alcune tracce nel mio stile (a detta di alcuni), in particolare nell’uso della tecnica dei sovracuti, ma come  artista non è mai riuscito a sconvolgermi del tutto. Il suo stile algido e tendente a uno smodato perfezionismo tecnico non mi è particolarmente affine».

TRACANNA: «Sceglierne tre è troppo traumatico perché ne ho seguiti tanti in momenti diversi per cui direi: Coltrane (che rappresenta il mio primo imprinting) e poi in ordine sparso Ben Webster, Lester Young, Charlie Parker, Eric Dolphy, Arnett Cobb, Gato Barbieri, Archie Sheep, Ornette Coleman, Steve Lacy, Wayne Shorter, Joe Henderson, Dave Liebman, Joe Lovano, John Surman, Jan Garbarek, Steve Coleman e sicuramente me ne sto dimenticando altri… Come sax sottovalutato direi Warne Marsh.
Ci sono dei sassofonisti che non amo particolarmente, ma che sono molto bravi tecnicamente e questo è un valore che apprezzo sempre. Quelli che proprio non amo non saprei indicarli perché non li ascolto e me li dimentico».

Quanta libertà armonica c’è abitualmente nella tua musica e quanta sei disposto a cercarne?

MILESI: «Nella mia musica c’è molta libertà armonica, ma anche melodica, formale ed espressiva. La mia formazione musicale non è omogenea né univoca. Nonostante abbia scelto il jazz e la musica improvvisata come ambito d’azione i miei ascolti vanno dagli organum medievali alla musica rock e dalle musiche popolari all’elettronica. Uno degli amori più grandi è però quello per la musica contemporanea e del XX secolo. Questa mi ha influenzato tantissimo, in tutti i progetti e nel mio stile improvvisativo. È una musica che fa della rivoluzione dei canoni e della ricerca continua un punto di forza ed è quindi naturale che senta mia questa tendenza.

TRACANNA: «Nella mia musica ci sono situazioni tonali modali e non tonali. Cercare una bella linea melodica che magari si sviluppa su un’idea tematica è per me interessante come muovermi in un contesto più astratto, sono registri diversi che mi interessano comunque.
Nel primo caso è difficile creare qualcosa che non sia banale e che mi soddisfi pienamente, il secondo è un territorio che ha a che fare con l’astrazione, categoria che mi interessa molto ma che ha ancor più bisogno di un approfondimento formale dei materiali e una accurata condivisione di gruppo. Direi quindi che dal punto di vista compositivo e formale non ci sono limiti precisi che mi impongo né dal punto di vista armonico né di “ambito stilistico”, anzi!
Da un punto di vista più complessivo la cosa che da tanti anni cerco di perseguire in tutti i contesti è la sintesi, la chiarezza e possibilmente la ricerca, per quanto possibile, di una essenzialità comunicativa. Non chiedermi però quante volte mi riesce...».

Qual è il ruolo della musica popolare (nel disco rileggete "In su le cime") nel vostro approccio espressivo?

MILESI: «L’inserimento di un canto alpino è stata una mia idea. Sono sempre stato attratto dalle musiche popolari, italiane e non. La musica cosiddetta demotica è una sorta di fotografia della musica del passato e allo stesso tempo contiene il germe di tutte le forme più complesse sorte in seguito. Tra tutte le musiche popolari quelle che forse più mi appassionano sono i canti delle alpi. "In sulle cime” è un canto abbastanza conosciuto, soprattutto nella zona delle alpi lombarde, che ho rimaneggiato pensando all’approccio compositivo di Albert Ayler (un’altra mia grande fonte di ispirazione). Ho sempre visto il suo modo di rielaborare e “distruggere” il materiale musicale semplice e scarno dei canti popolari molto commovente».

TRACANNA: «Mi interessa molto la musica etnica di alcuni paesi quali Africa e India da cui traggo spesso materiali e idee. La musica che invece noi chiamiamo popolare mi interessa per la sua semplicità e comunicatività ma non rappresenta un bacino musicale da cui attingo spesso. In ogni caso, oltre ovviamente a quello citato da te, il brano “Basics" ha molte ispirazioni appartenenti a questo mondo».

Un disco jazz che non hai mai fatto sentire a Tino e che hai voglia di consigliargli?

MILESI: «Sicuramente Royal Toast, un disco abbastanza recente dei Claudia Quintet. Tino conosce bene la formazione ma questo è, secondo me, uno dei loro dischi più riusciti. Ne ho parlato varie volte con lui ma non ho ancora avuto occasione di farglielo ascoltare».

Un disco jazz che non hai mai fatto sentire a Massimiliano e che hai voglia di consigliargli?

TRACANNA: «Mi sa che glieli ho fatti sentire tutti…».

Il miglior pregio e il peggior difetto (sinceri!) dell’altro?

MILESI: «Sicuramente il miglior pregio di Tino è quello di saper essere aperto ed estremamente curioso verso qualsiasi fenomeno musicale senza mai farsi condizionare da pregiudizi o posizioni “ideologiche”. Il suo peggior difetto in realtà non è un vero difetto: è quello di essere talvolta troppo diplomatico quando invece, in certe situazioni, sarebbe meglio “incazzarsi”». 

TRACANNA: «Pregio: la grande facilità musicale, il fatto di possedere una visione musicale interessante e dalle coordinate ben definite, una notevole spettro culturale da cui attinge ispirazione. Difetto: iperattività progettuale causata dalla prolificità creativa che a volte gli fa rischiare di disperdere energie e non approfondire intuizioni notevoli che meritano tempo e approfondimento. Mi sembra però stia già mettendo a posto anche questa cosa».

Tino, cosa ti ha insegnato la militanza nei gruppi di Franco D’Andrea?

TRACANNA: «D’Andrea mi ha insegnato così tanto che è complicato raccontarlo. Quando ho cominciato a suonare con lui era già un musicista di una potenza creativa e di una qualità musicale straordinaria e suonare al suo fianco non era così facile. Sintetizzando, insieme a molte conoscenze tecniche estremamente formative, direi che da lui ho acquisito l’attenzione per la forma, l’apertura e l’amore nei confronti dei diversi linguaggi del jazz (in particolare quelli antichi!), l’interesse per la ricerca, il senso del collettivo. Con Franco ho passato un periodo della mia vita stupendo e ho respirato tutto di quell’aria...».

E nel quintetto di Paolo Fresu?

TRACANNA: «Paolo è un talento purissimo, ha una flessibilità, un controllo della performance, una concentrazione e una definizione musicale veramente notevoli. Credo che suonare con lui per tanti anni e cercare di tenergli testa sul palco mi abbia influenzato su parecchi di questi aspetti pur filtrati dal mio approccio alla musica che è sostanzialmente diverso dal suo. Probabilmente è proprio questa differenza o meglio complementarietà delle nostre filosofie che fa funzionare la cosa.
Spesso in concerto duettiamo e lì ci si insegue di più nei reciproci territori, e in quelle situazioni sicuramente parecchie cose tra di noi si interscambiano e si combinano ancor di più e probabilmente rimangono. Da entrambi questi musicisti credo di avere imparato parecchio sulla gestione dei gruppi».

Mentre per te, Massimiliano, come va l’avventura nella Contemporary Orchestra di quel “pazzo” di Giovanni Falzone?

MILESI: «L’ingaggio nell’orchestra di Falzone è stato il mio primo lavoro importante. Sento molta affinità con la sua musica e con il suo approccio sincretico e senza confini di genere. L’aspetto forse più importante è che trovo la sua musica impegnativa e divertente allo stesso tempo. Il viaggio è ancora in corso; è uscito da pochi mesi il primo disco e presto ne seguirà un secondo».

TRACANNA: «Beh, scusate se intervengo, ma essendosi diplomato con me in Conservatorio a Milano, con Giovanni ho lavorato anch’io eh, partecipo infatti ai suoi primi dischi tra cui uno a quattro mani: Stylus (Abeat)».

Cosa state ascoltando in queste settimane?

MILESI: «I miei ascolti sono sempre molto vari. Sicuramente i più ascoltati dell’ultimo periodo sono: I See The Sign di Sam Amidon (un giovane cantautore americano che collabora anche con Bill Frisell). Gli ADHD, il quartetto elettrico di  Óskar Guðjónsson. Collection di Christian Scott e Big Choantza di Curtis Hasselbring».

TRACANNA: «Sto ascoltando Henry Threadgill, Craig Taborn (in particolare i dischi in trio), vari cd dell’ensemble Sentieri Selvaggi, Dave Holland, Stan Getz, Mark Turner ed il “nostro” Francesco Bigoni che mi sembra molto interessante».

Un sogno nel cassetto per questo duo/quartetto?

MILESI: «Un sogno (un po’ intimo) è quella di poter acquistare un giorno un sassofono sub-contrabbasso. È l’articolo che manca alla nostra collezione e sicuramente sarebbe un’espansione timbrica notevole per il nostro progetto.  Scherzi a parte mi auguro che questo lavoro possa essere esportato anche al di fuori dei confini nazionali e che possa attrarre consensi anche negli ambienti esterni al jazz».

TRACANNA: «Far uscire il disco che è già mezzo registrato?».

I prossimi impegni?

MILESI: «Sicuramente nel breve periodo dedicherò molto tempo alla presentazione di questo disco con una serie di concerti. È in fase di costruzione un progetto, interamente a mio nome, che vedrà la luce l’anno prossimo. Molti dettagli sono ancora segreti (e oscuri anche per me…) ma posso già dire che sarà un quartetto in compagnia di Emanuele Maniscalco, Giacomo Papetti e Filippo Sala.

TRACANNA: «Negli ultimi quattro/cinque anni ho investito in tanti progetti che dovevano svilupparsi in determinati tempi ma che per una serie di imprevisti mi ritrovo attualmente a gestire contemporaneamente (e dire che ho rampognato Milesi per questo!). Questo è bello ma per un pigro come me presenta dei problemi... In questo momento sono concentrato su Acrobats (il mio quintetto con Ottolini, Cecchetto, Dalla Porta e Antonio Fusco). Questo è un gruppo pieno di personalità straordinarie e diverse ed è fantastico lavorare con loro. Quest’anno è uscito il secondo cd fatto con questa formazione fatto per il Parco della Musica che si intitola Red Basics, e ne sono molto contento. Da pochi giorni è invece uscito Double Cut, di cui abbiamo già parlato, ma su cui voglio aggiungere che è una delle rare volte che mi trovo così bene a condividere la progettualità di un lavoro a più mani con altri musicisti. Nel 2017 ho in programma l’uscita del cd del mio trio con Giulio Corini e Vittorio Marinoni, un lavoro a cui tengo moltissimo e che penso mi rappresenti molto. Inoltre da marzo lavorerò ancora su Drops con Dj Bonnot e Roberto Cecchetto, un progetto fuori dagli schemi consueti che mi suggerisce davvero molte nuove possibilità. A novembre registrerò con Inside Jazz Quartet, un gruppo di amici con i quali suoniamo semplicemente degli standard, magari insoliti, con il semplice piacere di suonarli e rielaborali insieme. Per me è una bella esperienza perché per tanti anni ho soprattutto fatto musica originale mia e di altri e fare questo ora mi piace e mi sembra abbia un senso».

La foto di apertura è di Roberto Cifarelli

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