È una storia che affonda le radici nella fiammata finale degli anni Cinquanta, quella di Nanni Ricordi, quando l'Italia aveva appena finito di leccarsi le ferite della guerra voluta da Mussolini. Erano gli anni in cui il riscatto economico veniva prima di tutto: a costo di sacrificare i diritti di molti, di nuova emigrazione, di un inedito (allora) attacco frontale all'ambiente. Ma l’economia prendeva a girare, e con essa, contestualmente, anche tutta la nascente industria culturale e musicale della Penisola che cercava di svincolarsi dagli immondi modelli campanilistici, bozzettistici e grondanti romanticismo farlocco del fascismo.
E lì, alla fine dei palpitanti Cinquanta, che Carlo Emanuele Ricordi detto Nanni, il più giovane della ingombrante e decisiva casata che fondò l’editoria musicale italiana, si mette in moto.
Nanni è un talento irrequieto e una mente veloce, dai “pensieri lunghi”, come diceva un politico d’altri tempi e d’altra moralità. Va a New York. E nella Grande Mela le idee (di business o di sostanza, o di tutte e due le categorie) sorgono dall’oggi al domani. Vede più lontano degli altri. Perché chi con la mente fotografa bene il presente vuol dire che ha un’ottima cartografia del passato, e lascerà parecchi segni anche sulle mappe del futuro. Lui stendeva mappe in tempo reale della canzone italiana. E sappiamo, da diversi testi anche di ponderosa sostanza, quanto la canzone italiana riverberi, comunichi, lascia intuire in controluce, a volte controvento, l’intera storia culturale della nazione. Basta analizzarla e contestualizzarla.
Nanni Ricordi, scomparso ottantenne nel 2012, com’è stato ben detto, forse non è stato L’inventore dei cantautori, come invece dichiara a tutte lettere il titolo di questo libro (edito dal Saggiatore) di cui stiamo trattando. È stato la forza propulsiva che ha saputo raccogliere al meglio l’idea decisiva di far cantare agli autori le proprie canzoni, maturata in casa Rca, e diventata esplosivo nucleo di forza con la “sua” Ricordi, assieme all’amico e artista Franco Crepax. È il nipote di Nanni, Claudio Ricordi, bella voce radiofonica, a ripercorrerne assieme al critico musicale Michele Coralli il poliedrico scatto di attività. Dando voce a decine di persone che hanno incrociato la loro strada con quella dello zio, segugio musicale a caccia di talenti mercuriali e annidati nelle pieghe dei locali di Milano. Ad esempio un certo Giorgio Gaberščik, dal grande naso e dalla grande intelligenza guizzante, o il medico dei poveri che canta come un lupo lunatico e al limite dell’intonazione, Enzo Jannacci. E poi ci saranno Tenco e la Callas, Carla Fracci e Leonard Bernstein, Dario Fo e Luchino Visconti, Gino Paoli e, infine anche De André e De Gregori: a casa di Nanni si incrociano talenti tumultuosi e brucianti, nell’Italietta che sta prendendosi le misure per essere all'altezza almeno della Swingin’ London.
«La mia fortuna è sta quella di avere incontrato questi personaggi. Li ho fatti cantare come volevano, siamo diventati amici, ci siamo divertiti. Arrivavano, mi portavano dei pezzi, facevamo i dischi. Non ho mai avuto dubbi, per me erano bravi, rappresentavano il mondo con nuove musiche e nuove parole».
«La mia fortuna è sta quella di avere incontrato questi personaggi. Li ho fatti cantare come volevano, siamo diventati amici, ci siamo divertiti».
Sembra facile, no? E poi vai a pagina 272, dove con molto understatement hanno riprodotto un suo foglietto d’appunti per ricordare le cose, le persone, le situazioni della sua vita. A lato tre, quattro aggettivi o sostantivi per descrivere. Ne trascriviamo qualcuno: «Jannacci. Pazzia – Estro – Disponibilità – pigrizia. Tenco. Introverso – Affettuoso - Timido - Cantante sassofonista - “Comunista”. Paoli. Presuntuoso - “Conquistatore” - Non conformista».
Come si dice oggi: sempre sul pezzo, Nanni.