Ridurre la poetica immensa di Paolo Benvegnù ad appena 10 canzoni è una tortura; non esiste un suo disco che non sia meritevole (per non dire eccelso), non esiste una sua canzone brutta, malgrado quel che dice il titolo beffardo di un pezzo dell’ultimo album.
La selezione sarà pertanto parzialissima e inevitabilmente soggettiva; sperabilmente, un buon punto di partenza soprattutto per chi ancora non ha la fortuna di conoscere il repertorio di questo grandissimo artista, che ci ha lasciato improvvisamente l'ultimo giorno del 2024.
1. “Il pianeta perfetto” (2011)
La prima canzone del suo album più completo, Hermann, racchiude in sé tutto il sound che identifica perfettamente il migliore Benvegnù: impeccabile costrutto armonico-melodico, arrangiamenti sontuosi di archi su base acustica, la voce possente e calda di Paolo a guidare l’ascoltatore: “Basterebbe un aiuto / Per distinguere il tempo perso da quello vissuto”. Paradossalmente non suonatissima dal vivo, non di meno la canzone che ha definitivamente rivelato il suo autore come artista di caratura superiore.
2. “Pietre” (2020)
All’opposto dello stile più consueto, questo brano si sviluppa essenzialmente su un riff di chitarra elettrica, a dimostrazione dell’eclettismo della scrittura del suo autore (e più rappresentativo del sound dal vivo). Contenuto nell’album del 2020, Dell’odio dell’innocenza, un disco più nervoso e animato del solito, che per assurdo fu per molti la colonna sonora del lockdown; d’altronde, “Il silenzio è la verità”.
3. “75 giorni” (2009)
Un pezzo che potremmo considerare "minore", apparso solamente sull’EP 500 del 2009, e che decidiamo di inserire in questa playlist perché ha una struttura un po’ più semplice e accessibile di tante altre canzoni di Paolo. Senza perdere in eleganza e finezza di scrittura, ci si chiede che fine avrebbe fatto questa canzone se l’executive di una major avesse minimamente creduto in lui… Nota accessoria: in questo stesso EP c’è un’altra canzone chiave, “Nel silenzio”, anch’essa da riscoprire – una delle più intime e dolorose di Benvegnù, al punto che non riusciva a proporla dal vivo.
4. “La schiena” (2008)
Una delle canzoni più violente e aggressive di Benvegnù, tratta dal secondo album Le labbra, che arriva a oltre 4 anni di distanza dall’esordio ed esprime un malcelato malessere in più di un episodio. In questo caso, un ostinato di violino crea un’atmosfera inquietante e ossessiva: “È così / Che ogni goccia di me / Scava la tua schiena / Lentamente / Con un ritmo costante”.
5. “È solo un sogno” (2004/2024)
Originariamente inclusa nell’esordio Piccoli fragilissimi film uscito a inizio 2004, di questa canzone ci piace proporre la versione dell’edizione Reloaded dello scorso anno, con la voce di Veronica Lucchesi (La rappresentante di lista) a darne nuove sfumature di dolce malinconia.
6. “Io e il mio amore” (2009)
Composto originariamente per la compilation Il paese è reale allestita da Manuel Agnelli a valle del Sanremo 2009, questo pezzo sarà poi incluso nel live Dissolution dell’anno successivo. Uno dei brani emblematici nell’esprimere la poetica di Benvegnù, per cui l’amore è sempre descritto come una sorta di collisione tra elementi di meraviglia e altri di impatto negativo.
7. “L’oceano” (2024)
Nel 2024 È inutile parlare d’amore vince la Targa Tenco come migliore album. Un riconoscimento tardivo per Paolo Benvegnù, che in passato ha collezionato un’innumerevole quantità di secondi posti, ma meritato. Fra tutte le belle canzoni in esso contenute (citiamo almeno “Marlene Dietrich” e “27/12”), scegliamo “L’oceano” (con un featuring di Brunori Sas) per il suo afflato maestoso ma straordinariamente elegante.
8. “Il mare verticale” (2004)
Piccoli fragilissimi film non è forse il miglior album di Benvegnù, ma essendo il primo pubblicato da solista ha comunque un’importanza capitale. Un po’ disomogeneo nell’insieme, contiene tuttavia alcune canzoni tra le migliori del suo repertorio, come “Cerchi nell’acqua” o “Quando passa lei”. Nessuna, tuttavia, ha la potenza emotiva de “Il mare verticale”. Ispirata dall’omonimo libro di Giorgio Saviano, questa canzone è un capolavoro di struggente malinconia, col pianoforte a guidare un’armonia in minore, l’orchestra a fare da sostegno, e il memorabile verso “Io lascio che le cose passino e mi sfiorino”. Dettaglio apparentemente da poco (invece decisivo): la sequenza di quattro accordi subito dopo il ritornello è qualcosa di sublime.
9. “Avanzate, ascoltate” (2011)
Difficilissimo scegliere un solo altro brano da Hermann, vista la qualità complessiva di quell’album. Questo è comunque un'altra meraviglia di abbagliante purezza e melodia siderale, con un arrangiamento che mischia alla perfezione strumenti acustici ed elettrici.
10. “Olovisione in parte terza” (2017)
Solo una canzone presa da H3+, l’album "cosmico" di Benvegnù, ma a nostro parere un capolavoro assoluto a qualsiasi livello: costruzione, melodia, arrangiamenti (ritmiche superlative), esecuzione, emozione. Nient’altro da aggiungere – se non il rimpianto di averla vista eseguita dal vivo una sola volta. Merita tuttavia sicuramente di essere ricordata tra gli apici dell’intera discografia.
Bonus Track 1: “Good Morning, Mr. Monroe!” (201)
Pezzo assolutamente atipico che nessuno metterebbe in una playlist, e che invece ci piace ricordare proprio a dimostrazione dell’eclettismo di Paolo: ritmo iniziale su drum machine, bpm alti, groove electro. Un pezzo pseudo dance, che tuttavia mantiene la chiara matrice compositiva di Benvegnù. Anche questo da Hermann, che di sorprese di questo genere ne ha tante.
Bonus Track 2: “Rosemary Plexiglas” (2010) (Scisma)
Per finire un ricordo della band con la quale Paolo Benvegnù esordì nella seconda metà degli anni ’90, gli Scisma. Sempre presenti in scaletta nei concerti, alcuni pezzi di quel gruppo sono assolutamente ascoltabili ancor oggi; questa è la title track del loro album del 1997, qui rieseguita dal vivo e pubblicata su Dissolution.