A fianco al forte del Vecchio Porto di Marsiglia risalta l’edificio moderno che è sede del Museo delle Civiltà dell'Europa e del Mediterraneo (MUCEM), e in uno degli spazi di questo interessante e originale istituto è stata allestita la mostra L’Orient sonore. Musiques oublieés, musiques vivantes, che – inaugurata il 22 luglio 2020 – rimarrà esposta fino al 4 gennaio 2021.
Il progetto è stato realizzato in collaborazione con la fondazione libanese Amar, ideata nel 2009 dal curatore della mostra Kamal Kassar, che insieme al regista Fadi Yeni Turk e al direttore artistico Pierre Giner ne ha concepito l’allestimento. Il nucleo principale è costituito dai preziosi reperti storici dell’alba della registrazione fonografica nel Vicino Oriente, i dischi a 78 giri dei primi trent’anni del Novecento.
La maggior parte dei documenti esposti proviene dalla cospicua collezione privata, appartenuta all’egiziano Abd al-Aziz Anani, acquistata dalla fondazione allo scopo di restaurare, conservare e digitalizzare dischi rari che testimoniano lo stato dell’arte musicale egiziana e siro-libanese in una fase che precede l’avvento della cultura di massa.
La mostra è fruibile in parte anche a distanza poiché sul sito del MUCEM alla pagina Orient sonore è possibile ascoltare una importante selezione di voci storiche che rappresentano l’anello di congiunzione tra la musica d’arte del periodo della nahda, la rinascita culturale letteraria e soprattutto musicale fiorita al passaggio tra XIX e XX secolo, e la canzone lunga d’autore, ughniyya, divenuta famosa in tutto il mondo arabo e oltre attraverso i divi del cinema, della radio e poi del mercato discografico come Mohamed abd al-Waheb (1902-1991), Umm Kulthum (ca. 1900-1975). Farid al-Atrash (1910-1974), Asmahan (1912-1944).
I più grandi maestri della nahda, Muhammad Uthman e Abdu al-Hamuli, scomparsi rispettivamente nel 1900 e nel 1901, non fecero in tempo a registrare la propria voce, ma i loro allievi o eredi della generazione seguente, come Yusuf al-Manyalawi, Salama Higazi, Sayyed Darwish , Abd al-Hayyi Hilmi, solo per citarne alcuni, furono testimoni e protagonisti dell’avvento della registrazione sonora e della incisione discografica che si sviluppò in Egitto dal 1903, quando le prime compagnie internazionali come Odeon, Gramophone-HMV, Columbia, oltre a quelle regionali e locali, iniziarono la loro attività commerciale.
L’importanza di questi documenti salvati dall’oblio è immensa, poiché è il riflesso di una cultura musicale di trasmissione orale coltivata nell’alveo delle corti e dei circoli di cultori e conoscitori della grande tradizione musicale fondata sulla scienza del maqam, il ricco e articolato sistema modale che con le sue varianti intervallari è presente nelle civiltà del mondo islamico mediterraneo, ma che si estende e si dirama a est fino a tutta l’Asia Centrale.
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I sessanta dischi selezionati per la mostra marsigliese rappresentano prevalentemente le musiche di tradizione urbana di diversi paesi del mondo arabo, ma quelli dei primordi della fonografia sono un tesoro prezioso, poiché rispetto al contesto europeo, nel quale esistono molte istituzioni che si occupano del patrimonio musicale storico occidentale, non ve ne sono a sufficienza nei paesi del Vicino Oriente, dove la modernizzazione dei sistemi educativi e l’emulazione nei confronti dell’Occidente nel corso del XX secolo hanno prodotto una sorta di rimozione del passato.
Tra i saggi presenti nel catalogo dell’esposizione, pubblicato dal MUCEM in collaborazione con la casa editrice Actes Sud, nel testo di Kamal Kassar intitolato “Les ressources culturelles insoupçonnées de l’Orient” è riassunto il principale motivo del processo che ha provocato questa sorta di oblio:
«Le grandi orchestre sono comparse nei paesi arabi al ritmo dell’avvento dei poteri nazionalisti, come per celebrare l’indipendenza e la maturità dei paesi. Queste grandi orchestre, cosiddette moderne, hanno sedotto i dirigenti che le hanno esaltate. Ma la musica tradizionale, creativa, ricreativa e basata sull’improvvisazione, è stata percepita come retrograda. La fondazione AMAR da più di dieci hanno ha fatto un lavoro considerevole per promuovere la musica classica araba, partendo da una ricerca quasi inesistente, una amnesia quasi totale che annebbiava la maggior parte delle menti».
«L’idea non è quella di ritornare ai “buoni vecchi tempi”, ma piuttosto di suscitare l’interesse e il gusto per questa musica classica araba che costituisce un terreno fertile, per consentire di far emergere delle nuove forme musicali nei paesi arabi e oltre. È la ragione per la quale diffondiamo per quanto possibile questo patrimonio attraverso differenti mezzi: registrazioni rimasterizzate, concerti di musica classica, formazione di musicisti avvezzi a questa tradizione […]».
«La responsabilità è grande: queste musiche sono delle testimonianze rare dei legami e degli scambi che esistono da secoli tra vari gruppi religiosi ed etnici, che è nostro dovere custodire».
Oltre all’ascolto delle musiche presenti nel sito della mostra, è possibile anche visionare una lunga intervista a Kassar suddivisa in quattro parti, e brevissimi estratti di filmati realizzati da Turk che documentano significative tradizioni musicali di alcuni paesi del mondo arabo che fanno parte del lavoro di documentazione teso a mettere in risalto la ricchezza di questi patrimoni e l’importanza della loro salvaguardia.
L’immersione visivo sonora proposta dall’esposizione è unica, e aiuta a capire il valore universale delle culture musicali del mondo arabo.