Il patrimonio musicale della Spagna musulmana medievale è un importante simbolo delle interazioni, aggregazioni e scambi tra culture che caratterizza la storia del mondo mediterraneo. Il repertorio delle nubat, le suite modali tramandate oralmente in tutti i paesi dell’Africa del Nord, dal Marocco alla Libia, rappresenta una eredità culturale andaluso-maghrebina che è considerata l’espressione di un’epoca d’oro contraddistinta dalla armoniosa convivenza tra musulmani, cristiani ed ebrei.
Ma nel suo studio (The Musical Heritage of Al-Andalus, Routledge 2021, pag. 272) Dwight Reynolds, docente della University of California Santa Barbara e profondo conoscitore delle culture musicali del mondo arabo-islamico e del Vicino Oriente, sottolineando la complessità di questa regione del Mediterraneo invita a guardare oltre la consueta tripartizione della società iberica medievale prendendo in considerazione gli apporti delle altre culture delle differenti comunità che storicamente hanno popolato al-Andalus.
Questa eredità musicale frutto di una società multiculturale e multireligiosa è sostanzialmente costituita da un ricco corpus di versi poetici che vengono intonati durante l’esecuzione delle suite denominate nubat, costituite da movimenti che hanno in comune la stessa scala modale, maqam, e che prendono il nome dal ciclo ritmico sul quale sono organizzati.
Il libro, che comprende dodici capitoli suddivisi in cinque sezioni ordinate cronologicamente abbraccia il periodo storico che dalla conquista islamica e la creazione del Califfato Omayyade dell’VIII secolo arriva fino alla definitiva espulsione dei moriscos dell’inizio del XVII secolo, è un contributo importante per capire le radici e la profondità storica di questo patrimonio musicale che rappresenta l’eco di una civiltà nella quale si riflette un sapere artistico e filosofico frutto di una osmosi tra l’area orientale e occidentale del mondo arabo mediterraneo.
Nella introduzione Reynolds affronta la complessa questione metodologica di uno studio che intende rivolgersi anche a non specialisti, presentando una rapida panoramica degli autori che nel XX secolo si sono occupati della storia della musica della Spagna medievale suscitando un grande dibattito sulla presunta influenza arabo-islamica sulla cultura poetica e musicale cristiano-occidentale.
Sottolineando come sia facile documentare il contato ma non l’influenza, l’autore si riferisce a quest’ultima come ad una trappola intellettuale, espressione di un paradigma unidirezionale, al cui posto si dovrebbero invece usare una serie termini come negoziazione culturale, ibridazione e fecondazione incrociata per indicare le dinamiche dei prestiti, degli adattamenti e delle trasformazioni avvenuti nella storia della Spagna musulmana.
Nei due capitoli della prima sezione dedicata alla musica in Iberia e nel Mashreq fino al 711, viene delineato il vasto orizzonte all’interno del quale si collocano le vicende storiche e le dinamiche culturali che precedono la fioritura della musica delle corti musulmane di al-Andalus, partendo dall’epoca preislamica e descrivendo il ruolo della musica e dei musicisti nel contesto del primo secolo dell’Islam.
Dopo aver ricordato il precedente dominio dei Romani e dei Visigoti, dai tre capitoli della seconda sezione emergono i principali aspetti della musica del periodo che va dalla conquista di Abd al-Rahman II del 711 alla fine del califfato Omayyade del 1031, con una particolare attenzione nei confronti della figura leggendaria di Ziryab, il musico proveniente da Baghdad giunto alla corte di Cordova con un raffinato bagaglio culturale. Nel corso del tempo la sua figura si è ammantata di un’aura leggendaria fino al punto da attribuirgli non solo la paternità del repertorio delle nubat e l’aggiunta di una quinta corda al liuto, ma anche apporti extra musicali legati alla etichetta di corte, all’abbigliamento e alla gastronomia. Nel mettere in dubbio tali aspetti Reynolds ricostruisce anche la sedimentazione delle fonti storiche dalle quali provengono narrazioni e aneddoti che hanno alimentato la fama di Ziryab.
Nella terza sezione del libro, costituita da due capitoli, vengono presi in esame gli strumenti musicali che dal Vicino Oriente attraverso il Mediterraneo sono stati introdotti nella Spagna musulmana, in particolare il liuto e gli strumenti ad arco, e la dimensione filosofico matematica della teoria musicale delineata nei trattati dei principali autori musulmani e cristiani che rielaborarono le speculazioni di Pitagora, Nicomaco e Tolomeo. Oltre a condividere l’idea delle musica delle sfere i teorici musulmani hanno sottolineato il potere e l’influenza delle differenti scale modali sull’animo umano, accentuando la dottrina dell’ethos, e adottato l’approccio aritmetico al calcolo degli intervalli trasmettendo, commentando e arricchendo il sapere musicale medievale.
Nella penultima sezione, intitolata “La rivoluzione musicale in al-Andalus” il libro entra nel cuore dell’eredità culturale andaluso-maghrebina rappresentata dalla struttura della poesia strofica con ritornello, muwashshah, ideale per la sua intonazione musicale e condivisa dalle comunità di musulmani ed ebrei.
Come evidenziato dal titolo di questa sezione la comparsa di una nuova forma di canzone differente dalla precedente tradizione del sawt di corte, avvenuta tra la fine del X secolo e l’inizio dell’XI, ha avuto una grande ripercussione in tutto il Mediterraneo di lingua araba e oltre, ed è arrivata interrottamente fino ai giorni nostri come una delle principali forme di poesia cantata del mondo arabo-islamico.
Per tale motivo l’autore nell’esaminare la sua struttura, la cui centralità è stata oggetto di una grande quantità di studi, ha sottolineato l’importanza della sua dimensione musicale.
La quinta e ultima sezione che comprende tre capitoli è dedicata all’era post Omayyade dei piccoli stati islamici della Penisola Iberica, chiamati reinos de taifas, progressivamente ridotti e sconfitti dalla Reconquista.
Nel primo si parla della presenze delle qiyan, le cantatrici schiave, e dei cantori nelle corti di al-Andalus, mentre nel secondo dei musicisti musulmani ed ebrei nelle corti cristiane, in particolare quella del re Alfonso X, il cui nome è indissolubilmente legato alla produzione della Cantigas de Santa Maria. I testi di queste canzoni devozionali per la maggior parte presentano una forma poetica affine a quella delle muwashshat, e nelle miniature di uno dei due più importanti codici di questo particolare repertorio sono raffigurati numerosi strumenti musicali del Vicino Oriente.
Il terzo capitolo, dedicato ai moriscos e alla loro progressiva espulsione culminata dopo circa novecento anni di presenza dei musulmani all’inizio del Seicento, segna il limite cronologico di questo approfondito studio che è un contributo importante per la conoscenza di una grande tradizione poetico musicale che rappresenta una sintesi di numerosi aspetti artistici e culturali del mondo mediterraneo.
Nel breve epilogo conclusivo che precede una esaustiva bibliografia Reynolds ricorda l’importanza e la vitalità della muwashshah, la forma canzone disseminata nell’ampia area geografica del Maghreb e del Mashreq, la parte orientale del mondo arabo, fiorita attraverso i secoli fino ai giorni nostri, e legata anche alla tradizione spirituale del sufismo. Insieme al liuto e al progenitore degli strumenti ad arco è la più preziosa eredità musicale della Spagna musulmana, e come annunciato dall’autore nella introduzione, è previsto un secondo volume che illustrerà la permanenza di questa eredità anche nel quadro del Vicino Oriente nei secoli successivi fino ai giorni nostri.
In conclusione il volume, presentato online dall’autore attraverso un dialogo con Debra Blumenthal disponibile sul canale Youtube del UCSB Interdisciplinary Humanities Center, rappresenta un aggiornato quadro dello stato degli studi sulla musica di al-Andalus e offre una dettagliata visione storica della sua fioritura, grazie anche alla presenza di testi provenienti da fonti primarie che sono stati tradotti per la prima volta.