Oggi trentunenne, Lenna Bahule è nata e cresciuta in Mozambico, in una casa volentieri attraversata dalla musicalità della lingua portoghese parlata e cantata in Brasile, sia attraverso le novelas targate Globo, sia con i dischi del padre, DJ, che ama ascoltare Djavan, Milton Nascimento, Ivan Lins, Ney Matogrosso, Nana Caymmi: cultura brasiliana che ha influenzato i suoi gusti musicali, ma non il modo di cantare. La sua voce ha rotondi toni alti, acuti che sanno lasciare l’eventuale vibrato proprio in fondo alla frase.
Nel 2012 aveva deciso di trasferirsi negli Stati Uniti, ma la tappa brasiliana si è dimostrata tutt’altro che temporanea, trasformando San Paolo nel suo luogo d’adozione, con regolari visite in Mozambico. Poi, poco prima del lockdown, la gravidanza l’ha spinta a ritrovare casa in Mozambico.
Nel frattempo, a San Paolo, ha incontrato il mondo della percussione corporea e delle circle song: «Le pratiche di circlesong, lavorare con Bobby McFerrin mi ha molto aiutata a capire che per i brani cantati avrei potuto utilizzare anche suoni inventati, senza ricorrere a testi. L’improvvisazione è il coraggio di continuare: una volta aperta quella porta, il mio universo, il mio linguaggio creativo e improvvisativo è diventato molto più ampio: ho cominciato a considerare “bla-bla-ba” come una possibilità, non un semplice esercizio. Quando ho cominciato a sperimentare con gruppi di percussione corporea ho iniziato a sviluppare un vocabolario più ampio, a disporre di maggiori conoscenze per interagire con un’estetica anche armonica».
«Ho cominciato a considerare “bla-bla-ba” come una possibilità, non un semplice esercizio».
È nato così, nel 2016, un album splendido, Nômade. Dodici brani che stendono un ponte fra ritmi e melodie dell’Africa australe, centrale e che si affaccia sull’Oceano Indiano ed arrangiamenti afrobrasiliani che mettono al centro la voce, le melodie, le percussioni corporee intrecciate alle lingue chope, changana, xitswa, nganda, zulu, portoghese: «Per comporre non concepisco l’dea di sedermi e provare a scrivere un determinato tipo di musica. Parto dall’improvvisazione: quel che faccio di solito è trovare uno spazio libero, tutto per me, magari quando sto lavando i panni, o facendo un bagno, o camminando per strada. Allora apro la bocca, canto e vedo cosa viene fuori. A volte registro; poi nella registrazione identifico un’idea promettente e, a partire da quell’idea, comincio a comporre. Preferisco i brani senza versi specifici: in Nômade solo due canzoni hanno un testo specifico».
Come in un rituale, si comincia con “Ku Phahla” (Offerta e Benedizione) per poi invitare alla “Dança dos pigmeus”, celebrare la madre, “Na Ku Penda”, intonare una “Oração”, dar voce ai canti ribelli de la Riunione (“Pour les chants du Maloya”). A inizio del 2018 “Nômade” arriva anche a Maputo, con uno spettacolo nel palco principale del Centro Cultural Franco Moçambicano in compagnia di alcuni dei migliori artisti mozambicani, le voci di Tina Ngulela, Abençoada Mondlane, Rukan Rosy, Suke Tanni, la batteria e le percussioni di Stelio Zoé e Nelson, il basso di Tony Chabuca e alcuni ospiti, fra cui il brasiliano Danilo Moraes.
In Brasile, Nômade ha continuato a essere una fonte di ispirazione e occasione di diversi incontri e nuovi arrangiamenti. Una testimonianza recente è l’arrangiamento del brano “Kungô” che vede Lenna Bahule insieme al Coro Juvenil do Moinho nello spettacolo “Moinho Nômade”
«"Kungô" è un brano per corpi che si conoscono e reclamano giustizia e appartenenza. L’ho composta perché venga cantata in gruppo e più volte è stata interpretata da gruppi». In questo caso la direzione artistica e gli arrangiamenti hanno visto protagonisti Cristiane Ferronato e Teco Galati, in collaborazione con il trio formato da Alexandre Fritzen da Rocha al piano, Bruno Borges al basso e alla chitarra e Giovane Albarello alle percussioni.
Le capacità di didatta e di improvvisazione di Lenna Bahule l’hanno resa protagonista di numerose collaborazioni. In ogni contesto sa trovare un registro interpretativo originale, si tratti di dar voce con un pianista affermato come Mário Laginha a “O chão da Terra”, o di dialogare con Vanessa Moreno in un “Bom Dia” tutto affidato al canto.
Il suo approccio personale vede «l’equilibrio non come una posizione statica, ma come movimento: per equilibrarsi è necessario disequilibrarsi, praticare la danza fra essere e non essere».
«L’improvvisazione è utile in tanti modi alla mia vita: è il mio cammino principale, di esplorazione artistica; per me stessa è anche attività terapeutica, che mi aiuta a rilassarmi; ed è uno sguardo sulla vita disponibile a lasciarsi sorprendere. Per chi come me canta è un ottimo esercizio che aiuta la flessibilità, a lubrificare tanti aspetti: postura, idee, opportunità creative. Ma non ho mai avuto il coraggio di salire su un palco e improvvisare da sola. Lo faccio in gruppo. Al tempo stesso, molta della mia preparazione artistica passa per l’improvvisazione, adoro improvvisare. Solo che non trovo il coraggio di improvvisare davanti a molte persone senza che ci sia chi mi accompagna. Si tratta di un misto di libertà e sicurezza: mi piace improvvisare in spazi in cui mi sento sicura. Mi piace percepire un percorso per l’improvvisazione».
Nel corso del 2018, a San Paolo e Maputo, Lenna Bahule è stata seguita dai documentaristi Rose Satiko Hikiji e Jasper Chalcraft. Il risultato è stato Woya Hayi Mawe - Para Onde Vais?, vincitore quest’anno del premio Pierre Verger 2020 come migliore mediometraggio, protagonista, quindi, della cerimonia di apertura dell’annuale Reunião da Associação Brasileira de Antropologia. Le riprese hanno fatto parte di un più ampio progetto cinematografico quinquennale, “Ser / se tornar africano no Brasil: músicas e heranças africanas”, ed in particolare del capitolo “Afro-Sampas” che fa interagire a San Paolo musicisti originari delle due sponde atlantiche: oltre a Lenna, Yannick Delass (Repubblica Democratica del Congo), Edoh Fiho (Togo), e i brasiliani Ari Colares, Chico Saraiva e Meno del Picchia, nel quadro del progetto di ricerca etnomusicologico "O Musicar local: novos caminhos” con la “diaspora africana creativa”.
In chiusura di 2020, i suoi amici e colleghi di San Paolo hanno trovato il modo di riportarla in Brasile con collegamenti video. Una prima serata è stata organizzata dal centro culturale
Sesc Paraty, in cui ha dato spazio alla voce e alle percussioni senza filtri tecnologici, aprendo con un “Canto de proteção” che è anche un omaggio al gruppo femminile Clarianas.
Più recentemente, è stata protagonista dell’ultima puntata per il 2020 della Roda de Conversa del gruppo Musica do Circulo, interamente dedicata al tema dell’improvvisazione, e sempre sul finire dell’anno, il 20 novembre scorso, dal Mozambico, Lenna Bahule ha saputo rileggere da par suo il repertorio legato a “Nômade” con un magnifico concerto solista, “Vila Itororó”, in collaborazione con Cristian Beltrán. La serata è stata aperta da “Nomada”, cantata a cappella e poi armonizzato con l’aiuto della loop station. Il brano seguente, “Cumbara Cumbi” ha proposto un gioco percussivo che vede protagonisti solo mani e piedi, per poi lasciare spazio all’ostinato vocale composto da Lenna e Cheny Wa Gune. Sono seguiti altri sei brani, all’insegna della rilettura dell’album registrato nel 2016, di come questo progetto si trasformi col passare del tempo, dialogando con la lusofonia, per esempio quella del compositore e poeta della Guinea Bissau Mû Mbana, ma anche annunciando i primi brani del nuovo lavoro in gestazione “Raízes”, dedicato alle voci delle donne.