La valigetta perduta di Eric Dolphy

Il cofanetto Musical Prophet: The Expanded 1963 New York Studio Sessions raccoglie materiali inediti di Eric Dolphy, curati da James Newton

Eric Dolphy Musical Prophet
Eric Dolphy (foto di Chuck Stewart)
Articolo
jazz

Come nei film più appassionanti, in questa storia è protagonista una valigetta.

Una valigetta che viene affidata nel 1964 a Hale Smith, importante figura di raccordo tra il mondo della musica classica e quello del jazz, e alla moglie Juanita, da Eric Dolphy, in partenza per un lungo viaggio/tour europeo.

Da quel viaggio, iniziato nel gruppo di Charles Mingus e proseguito da solo (le testimonianze dei live di quelle settimane sono classici immancabili sugli scaffali dei collezionisti), Eric Dolphy non tornerà. Un malore fatale a Berlino porrà una prematura fine a una delle figure più luminose e originali della storia del jazz.

La valigetta (e il suo contenuto di effetti personali) giungerà poi a James Newton, jazzista di eccellente statura artistica, amico di Smith e anche “erede” in un certo senso del Dolphy flautista.
Nella valigia ci sono dei nastri: contengono integralmente le registrazioni effettuate a New York nel luglio del 1963, due sedute prodotte da Alan Douglas, parte delle quali aveva trovato pubblicazione in due dischi tra i meno celebrati della fulminante carriera di Dolphy, Iron Man e Conversations.

Alcuni materiali però sono inediti e Newton si rivolge alla persona giusta: è Zev Feldman, l’Indiana Jones del jazz che con la etichetta Resonance sta in questi anni scovando una vera e propria messe di tesori inediti. 

L’esito si chiama Musical Prophet: The Expanded 1963 New York Studio Sessions ed è appena uscito in triplo vinile in occasione del Black Friday novembrino (pronto per le letterine a Babbo Natale), mentre l’edizione in 3 cd è prevista per gennaio. 

Eric Dolphy Musical Prophet

Contiene tutte le sedute dagli originali nastri mono e un sontuoso booklet ricco di materiali: non solo fantastiche fotografie inedite, ma anche e soprattutto una corposa mole di interventi: cinque saggi che spaziano dalla genesi della ristampa (ne scrivono ovviamente Feldman e Newton) a una più articolata contestualizzazione di queste registrazioni nell’ambito della musica di Dolphy (ne scrive Robin D.G. Kelley), della ricezione in Giappone (Masakazu Sato) e del ruolo produttivo di Douglas (Michael Lemesre). Ma anche una raccolta di opinioni “storiche” sul polistrumentista – da Coltrane a Ornette Coleman a Mingus – e una serie di interviste esclusive a nomi di spicco del jazz di oggi, da Sonny Rollins a Sonny Simmons, passando per Richard Davis, Henry Threadgill, Nicole Mitchell, Steve Coleman, David Murray, Bill Laswell, Oliver Lake, Han Bennink, Joe Chambers, Dave Liebman & Marty Ehrlich.

Ma ricostruiamolo brevemente, quel momento della carriera di Dolphy, in fondo rimasto un po’ nell’ombra tra il fulminante biennio 1960/61 e il tragico epilogo suggellato dal capolavoro Out To Lunch.

Nel 1962 il jazzista allestisce un quintetto in cui compaiono tra gli altri un giovanissimo Herbie Hancock, il trombettista Ed Armour (che se ne andrà scontrosamente sbattendo la proverbiale porta), il sodale Richard Davis al contrabbasso. È il quintetto del live al Gaslight Inn, così come, con Eddie Kahn al basso, di quel riscoperto Illinois Concert che è stato un po’ l’inedito dolphiano simbolo di fine millennio. 

Incerto tra i non troppi ingaggi, le svariate partecipazioni a altri progetti e un organico che sembra lontano da una stabilità, Dolphy viene avvicinato nel 1963 dal produttore Alan Douglas, che gli propone di registrare per la appena nata FM Records. Nei due giorni di registrazione, 1 e 3 luglio, Dolphy incide dapprima una serie di duetti con Richard Davis, poi alcuni pezzi con formazioni variabili tra il sestetto e il tentet, chiamando con sé Woody Shaw alla tromba, Bobby Hutcherson al vibrafono, Clifford Jordan al sax soprano, più una serie di ance/flauti originalissime come quelle di Garvin Bushell, Sonny Simmons e Prince Lasha. Il già citato Khan, J.C Moses e Charles Moffett completano la ritmica.

Il materiale, lo abbiamo detto, confluirà in Iron Man e Conversations, il secondo dei quali pubblicato quando ancora Dolphy era in vita, ma promosso in modo pessimo dall’impacciata FM (che non a caso chiuderà subito i battenti) e costruito interamente attorno a temi non di Dolphy. 

Lo ritroviamo in questa ristampa gioiello, con una serie di alternate tracks inedite e l’aggiunta della enigmatica “A Personal Statement” (o “Jim Crow”), registrata con Bob James a Ann Arbour nel 1964.
Tutti da godere e riscoprire dunque i duetti con il contrabbasso di Davis, non solo il celeberrimo “Alone Together”, ma anche una dolente “Come Sunday” ellingtoniana o l’essenziale resa di quel capolavoro apollineo che è “Ode To Charlie Parker” di Jaki Byard, nonché le due versioni inedite di “Muses”.Tutti da godere e riscoprire anche i pezzi in gruppo: dal nervoso “Iron Man” all’irresistibile danza di “Musica Matador”, passano per “Mandrake”, la solitaria resa di “Love Me”, la orgiastica “Burning Spear” e il resto del programma, con alcune versioni alternative che superano quelle edite in imprevedibilità.

Concepite con una band che non avrà seguito, anche se Hutcherson e Davis saranno della partita in Out To Lunch, queste registrazioni fotografano un periodo di transizione nella carriera di Dolphy: giustamente James Newton fa notare come il musicista si stesse muovendo dalla propria concezione di polimodalismo post-bop verso architetture musicali più articolate, legate alle organizzazioni delle altezze e chiaramente influenzate dai linguaggi, sia jazzistici che di ambito classico, più raffinati del periodo. Alla faccia di chi ha bollato per anni la musica di Dolphy come “free”!

Periodo di transizione verso nuove esplorazioni che rimarranno invece qualcosa di fatto solo baluginare dall’ultimo capolavoro e, tragicamente, mai portate a conclusione. Quello che emerge però da questi dischi imperdibili, è ancora una volta la straordinaria umanità musicale di Dolphy, genio dolcissimo e generoso che anche negli angoli più aguzzi della propria musica non mancava di condividere un senso profondissimo della vita e del cosmo.

E pensare che eravamo partiti da una valigetta…

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