La pazzia musicale del Congo funk

Una raccolta di Analog Africa ripropone il meglio di una scena che inventava il futuro della musica, cinquant'anni fa

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La realizzazione di Congo Funk! Sound Madness From The Shores Of The Mighty Congo River (Kinshasa/​​Brazzaville 1969-1982), l’attesissimo viaggio nel cuore musicale del continente africano, ha richiesto ai ricercatori della benemerita etichetta tedesca Analog Africa due viaggi a Kinshasa e uno a Brazzaville.

Sono state selezionate circa 2.000 canzoni, ridotte poi alle 14 – incise tra il 1969 e il 1982 - che hanno trovato spazio in questa raccolta che ha l’obiettivo di mettere in vetrina le molteplici sfaccettature delle canzoni ipnotiche, schizofreniche e, in ultima analisi, funky provenienti dalle due capitali congolesi accoccolate sulle rive del fiume Congo.

Congo Funk! è una compilation che accende un faro sui diversi talenti di artisti all’epoca già affermati e di giovani emergenti che hanno spinto la rumba ad altezze mai raggiunte in precedenza, instillandovi un groove irresistibile che ha conquistato pubblici diversi attraverso tutta l’Africa.

Sulla riva meridionale del fiume Congo, la città di Kinshasa – fino al 3 maggio 1966 Léopoldville, capitale della Repubblica Democratica del Congo, precedentemente conosciuta come Zaire – è spesso vista come la Mecca musicale dell’Africa, la città che ha dato origine a gruppi immortali quali African Jazz, O.K. Jazz – più tardi TPOK, Tout Puissant Orchestre Kinshasa - e African Fiesta – poi divisosi in African Fiesta National e African Fiesta Sukisa –, e il posto dove aspiranti musicisti da tutto il continente avrebbero voluto andare per farsi un nome.

Molti tra questi arrivarono dalla confinante Repubblica Centrafricana, perché la comune cultura Bantou aveva convogliato sensibilità musicali simili. Un autore quale il pioniere Prosper Mayélé cominciò lì la sua carriera, facendo cover di canzoni popolari cubane e di canzoni di highlife ganense, e lo stesso fece il famoso chitarrista Jimmy “The Hawaiian” Zakari, il quale modellò lo stile arpeggiato della leggenda congolese Franco Luambo Makiadi. Questi due pionieri avrebbero poi fatto ritorno a casa per fare buon uso della loro esperienza congolese al fine di sviluppare la scena musicale del loro Paese.

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Ma la città di Brazzaville sulla riva settentrionale – capitale della Repubblica del Congo – ha svolto un ruolo ugualmente importante nella diffusione dei suoni congolesi in tutto il continente.

Oltre ad aver prodotto gruppi entrati nella leggenda – uno tra tutti Les Bantous de la Capital -, era la sede della potente Radio Brazzaville, i cui dj permettevano all’inconfondibile groove della rumba congolese di essere ascoltato in città distanti come Nairobi, Yaoundé, Luanda e Lusaka, facendo diventare così la chitarra elettrica lo strumento più importante dell’Africa. 

Quantunque il paesaggio musicale di queste due capitali sia stato definito da uno zoccolo duro di gruppi negli anni Cinquanta, la modernizzazione della musica congolese è avvenuta in maniera costante fino agli eventi di contorno al celebre incontro di pugilato per la corona mondiale dei pesi massimi tra Muhammad Ali e George Foreman, il vero punto di svolta.

Il promoter di quell’incontro diventato celebre come Rumble in the Jungle era il tristemente noto Don King, alla disperata ricerca di 10 milioni di dollari per portare i due pugili su un ring. L’unico candidato disposto a mettere quella somma di denaro sul tavolo era Mobutu Sese Seko, Presidente della Repubblica Democratica del Congo. 

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Mobutu, il megalomane dittatore arrivato al potere – e rimastovi per 32 anni – con l’aiuto di Stati Uniti e Belgio in cambio di accesso illimitato e a buon mercato alle ricchezze del Paese e soprattutto dopo aver fatto uccidere nel 1961 il presidente democraticamente eletto Patrice Lumumba, non aveva un grande interesse verso la musica ma accettò volentieri un festival musicale di tre giorni da organizzare prima del match.

Zaïre 74 – questo il nome scelto – voleva pur sempre dire creare attesa intorno all’incontro tra i due campioni e quindi molte star furono invitate. L’idea era quella di celebrare la riunificazione tra l’Africa e la sua diaspora, come era già successo nel 1966 col Fesman Festival (World Festival of Black Arts) in Senegal e nel 1971 col Soul To Soul in Ghana. Q

uattro anni fa la Wrasse Records ha finalmente svelato canzoni di quel festival mai pubblicate in precedenza, guarda caso quelle eseguite in quei tre giorni (22-24 settembre) dagli artisti africani di fronte agli 80.000 spettatori che ogni sera affollarono lo stadio Tata Raphaël. E la lista dei musicisti non era niente male: Tabu Ley, Abeti Masikini, Franco & O.K. Jazz, Manu Dibango, Miriam Makeba, The Stukas, con il trombettista sudafricano Hugh Masekela come direttore artistico dell’evento.

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Furono davvero tanti gli artisti a esibirsi nell’occasione – a questo proposito consiglio la visione del documentario Soul Power uscito nel 2008, mentre per i retroscena di Rumble in the Jungle la lettura obbligata è quella di The Fight di Norman Mailer, la cui versione italiana è uscita nel 2022 -, ma fu la performance di James Brown a creare scompiglio tra i giovani congolesi, ispirando centinaia di musicisti in erba a imbracciare le loro chitarre elettriche e ad aumentare al massimo i riverberi alla ricerca di un nuovo suono in cui l’iperattiva rumba si mescolasse con elementi psichedelici e funk. 

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Malgrado i risultati fossero molto differenti dalla musica popolare dei “Tre Moschettieri” – come erano conosciuti Tabu Ley, Franco e Verckys –, non rappresentarono una frattura netta e completa con la tradizione.

Questi nuovi suoni emersero in un momento in cui l’industria discografica congolese – in precedenza dominata dalle major europee – stava vivendo un periodo di declino dovuto ai crescenti costi di produzione e necessitava di un cambio radicale.

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Il vuoto fu colmato da decine di imprenditori desiderosi di tentare la sorte con produzioni su scala minore. Cominciò il periodo d’oro per le etichette indipendenti e le migliori tra di esse – Cover N°1, Mondenge, Editions Moninga, Super Contact – salvaguardarono il lavoro di alcuni tra i migliori artisti della regione, allo stesso tempo lanciando sotto i riflettori una generazione di musicisti più giovani. 

Questo nuovo movimento fu molto aiutato da leggendari radio show ma furono le produzioni di Télé-Zaïre ad appiccare il fuoco alla dinamite. La leggenda vuole che i TV show fossero così seguiti che Mobutu in persona ordinò di trasmettere concerti ogni giorno perché riuscivano a far sospendere le attività criminali durante la loro messa in onda.

Congo Funk! è la storia di questi suoni e di queste etichette, ma soprattutto è la storia di due città, separate dall’acqua ma unite da un groove indistruttibile. 

Le 14 canzoni di questo doppio LP, contenente anche un booklet di 16 pagine, mettono in mostra i diversi suoni di queste due capitali e i gruppi e gli artisti che furono gli alfieri di quella nuova scena, destinata a influenzare il panorama musicale dell’intero continente africano, e non solo. 

 

«Il futuro della musica è accaduto decenni fa» - Motto di Analog Africa

P.S. No, l’articolo non è ancora finito, dobbiamo ancora ascoltare almeno un brano di questo disco. La compilation si apre con “Sungu Lubuka” di Petelo Vicka et Son Nzazi, registrato originariamente nel 1982 allo Studio Renapec di Kinshasa. Malgrado le poche copie stampate questo pezzo ha resistito per più di 40 anni, conservando la sua essenza funky e rivelandosi la perfetta introduzione a questa raccolta entusiasmante di Analog Africa.

Finito? Non ancora, mancano un video e la bella storia del Taller Tipografico La Linterna, attivo nel barrio San Antonio di Cali, Colombia, sin dal 1934, di cui sono venuto a conoscenza grazie alla mia amica Juanita Apraez Murillo, originaria di quella città.

Immagino che vi sia piaciuta la copertina di Congo Funk!; ovviamente esiste anche il poster e tutto questo materiale arriva proprio da questa vecchia tipografia di Cali.

La Linterna è una tipografia storica specializzata in manifesti per feste popolari, eventi e concerti, che impiega ancora tre macchine che datano 1870 (Marinoni), 1890 (Reliance) e 1930 (Rápida di Lusso): con i cambiamenti tecnologici era sull’orlo della chiusura quando dai tre operai che nelle loro vite non avevano mai fatto nient’altro che stampare è arrivata una coppia di giovani per dire loro che li avrebbero aiutati. Per prima cosa i due hanno proposto di produrre una collezione incentrata sulla salsa, genere musicale di cui Cali è la capitale mondiale: scelta azzeccata, tutti i pezzi sono stati venduti e sono arrivati i primi soldi dopo mesi senza stipendio. Com’è normale, l’appetito è venuto mangiando e allora avanti con una seconda collezione, anche questa andata esaurita in breve tempo, con contorno di dj set, birre e altre amenità. Il proprietario della Linterna ha detto loro che, se volevano, gli avrebbe lasciato i macchinari in cambio degli stipendi arretrati e l’accordo è stato raggiunto.

L’anno scorso hanno addirittura fatto un tour chiamato We Are Sudamerican Printers in Spagna, Germania, UK e Francia e la mia amica, dopo un lavoro davvero impegnativo, li porterà a Torino il 29, 30 e 31 maggio c/o Contrada Murazzi, via Murazzi del Po Gipo Farassino 23 (Murazzi lato destro), sede dell’Associazione Murazzi del Po: sarà l’anteprima di creativAfrica 2024, decima edizione del festival di musica, letteratura, cucine, arti e culture africane che anima Torino dal 2015, quest’anno dedicato al tema Africa Futura. Concludo segnalando una chicca: il 31 ci sarà il dj set di Volkan Kaya aka Afreekaya / aka Mr. Kaya, il manager dell’etichetta Analog Africa. Si annuncia una combo pirotecnica.

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