È da un po' che ho smesso di cercare di capire in base a quali motivazioni la gente vada o non vada a un concerto.
Malgrado ciò, faccio fatica a accettare il fatto che martedì 20 ottobre, al teatro L'Espace di Torino, soltanto centocinquanta persone siano andate a vedere i Mbongwana Star, gruppo della Repubblica Democratica del Congo e senz'altro una delle rivelazioni di questo 2015.
Scarsa informazione? Pigrizia mentale? Mancanza di curiosità? Fenomeno esclusivamente torinese? Lo dico subito: chi è rimasto a casa questa volta ha sbagliato. Inserito all'interno del cartellone della rassegna CreativAfrica in compagnia di altri nomi importanti quali Alpha Blondy, Songhoy Blues e Baba Commandant, il gruppo ha dato vita a una performance di rara potenza, mischiando la rumba congolese, il soukous, con ritmi occidentali che in alcuni passaggi hanno ricordato i Basement 5 e i Talking Heads. Chi conosceva il loro album d'esordio From Kinshasa (lo ha recensito Alberto Campo qui) ha avuto quello che si aspettava, però moltiplicato all'ennesima potenza: i Mbongwana Star sul palco sono un gruppo fast and furious, eseguono le loro canzoni senza l'ausilio di trucchi elettronici e in versioni dilatate, con un solo obiettivo: creare un groove inarrestabile, diventando una sorta di Funkadelic in salsa africana e speziatissima.
Ciò che sorprende maggiormente è la presenza scenica di Théo e Coco, i due cantanti costretti sulla sedia a rotelle in seguito alla poliomielite e già membri del gruppo Staff Benda Bilili, scioltosi nel 2013: due personaggi magnetici, dotati di voci straordinarie e in grado di tenere in pugno gli spettatori.
(Rimane da capire cosa intendesse Théo quando, alla fine del sound-check, ha rivolto le seguenti parole a una ragazza africana presente sotto il palco: «Se vieni di là, nel camerino, ti faccio sedere sulla carrozzina...»).
Il repertorio presentato era basato ovviamente sul loro unico album ma hanno fatto capolino alcune composizioni nuove, tra cui "Ali Boumayé" ("Ali, uccidilo", come il grido della folla presente al famoso incontro di boxe tra Mohammad Ali e George Foreman, tenutosi a Kinshasa il 30 ottobre 1974, e passato alla storia come "The Rumble in the Jungle").
A proposito di brani nuovi, il leader della band nonché produttore e video-maker Liam Farrell, meglio conosciuto come Doctor L - un irlandese trasferitosi giovanissimo a Parigi - mi ha anticipato nel corso di una breve chiacchierata prima del concerto che il nuovo album, previsto per il 2016, è a buon punto e avrà un suono diverso rispetto al precedente: Del resto "Mbongwana" vuol dire cambiamento.
«Ho conosciuto - ha raccontato - gli altri componenti del gruppo a Kinshasa, stavano cantando per strada. Kinshasa è un posto strano: a differenza di quello che si potrebbe pensare non c'è molta musica in circolazione, i soli due gruppi ad aver raggiunto una certa popolarità sono i Konono N° 1 e i Jupiter Okwess International. Poi, se sei curioso e hai le giuste conoscenze, riesci ad entrare in contatto con realtà assolutamente misconosciute come, ad esempio, la musica dei pigmei. I giovani di Kinshasa non ascoltano l'hip hop o il reggae, sono io che sto cercando di far conoscere questi generi, anche in virtù del mio passato di membro del gruppo hip hop parigino Assassin» [Liam è stato anche per un certo periodo il batterista del gruppo Les Rita Mitsouko, che raggiunse una certa notorietà negli anni Ottanta].
«Sono - continua - un grande appassionato del reggae degli anni Settanta e mi piacciono Alton Ellis, Ken Boothe, Dennis Brown e Burning Spear. Tornando ai Mbongwana Star, mi sono piaciuti subito ma trovavo che le loro composizioni fossero troppo cantate, troppo piene di voci; ho deciso di unirmi a loro per curare strettamente la parte strumentale, reclutando giovani musicisti alle prime armi. Il nostro batterista era un percussionista e solo da un annetto si dedica alla batteria. Lo stesso discorso vale per il chitarrista: grandi potenzialità di crescita, anche se i risultati ottenuti sono già soddisfacenti. Ah, sei d'accordo anche tu? Mi fa piacere, vuol dire che sto lavorando bene!».
Liam ride, e riprende:
«Ho prodotto più di cento album in Africa e ho lavorato molto con Tony Allen. Sta per entrare in studio coi Gorillaz? Non mi piacciono più di tanto, troppi trucchi, e, se te la devo dire tutta, non mi piace la voce di Damon Albarn. Ho sempre reputato i Blur un gruppo da ultras curvaioli ma sai, io sono irlandese e loro inglesi, e questo influisce sul mio giudizio [risate]. Sì, i Funkadelic mi piacciono molto, l'hip hop gli deve molto.Ti dirò di più, sono molto amico di Michael Clip Payne, ha suonato in alcuni miei dischi, è davvero una persona squisita. Ho conosciuto anche il manager dei Funkadelic, un bianco, che però dopo vent'anni non ce l'ha più fatta e se n'è andato: troppa droga, troppi casini e troppi problemi finanziari. I miei compagni di band sono persone semplici: hai visto le loro espressioni quando gli hai fatto vedere il video di "Kala"? Non l'avevano mai visto, e l'ho girato io! L'etichetta World Circuit aveva in mente un'altra sceneggiatura ma io me ne sono fregato: l'ho girato e l'ho messo su YouTube senza dire niente. Mi fa piacere che ti piaccia, secondo me riesce a rendere bene l'atmosfera delle bidonville di Kinshasa, un misto di estrema povertà e di gioia di vivere. Ci fa piacere il riconoscimento da parte della critica specializzata, siamo abbastanza popolari in Gran Bretagna e in alcune zone degli Stati Uniti ma non capiamo come mai in Francia siamo ancora un fenomeno di nicchia. Mettiamola così: questo stato di cose ci spinge a lavorare ancora di più e a pubblicare una bomba di disco».
In attesa dell'anno prossimo, i Mbongwana Star saranno ancora in Italia il 23 ottobre al Teatro del Popolo di Colle Val D'Elsa per Africa From Nowhere, e venerdì 30 a MACRO Testaccio - La Pelanda, per Romaeuropa.