Calexico
Edge of the Sun
City Slang
A tracciare il profilo della band avviata vent'anni or sono da Joey Burns e John Convertino basterebbe il pedigree degli ospiti che affollano il suo nuovo album. Si va infatti dall'aristocrazia della scena indipendente d'oltreoceano, rappresentata da personaggi quali Neko Case (New Pornographers), Sam Beam (Iron & Wine) e Ben Bridwell (Band Of Horses), a un'eterogenea platea composta da artisti di estrazione latinoamericana - le cantanti Gabi Moreno e Carla Morrison, rispettivamente guatemalteca e messicana - e addirittura mediterranea, ossia l'andalusa Amparo Sanchez e i greci Takim. Mai prima i Calexico - tempo fa associati pure a Vinicio Capossela - avevano concentrato in un colpo solo tanti e tali complici, che personificano plasticamente la natura cosmopolita del gruppo di Tucson. L'idea di "musica di frontiera", che da sempre ne informa l'azione, viene espressa questa volta - letteralmente - in carne e ossa, insomma.
Il disco - nono della serie - riflette coerentemente la molteplicità dei fattori in gioco, ondeggiando fra una visione "alternativa" della tradizione statunitense (in una canzone d'impronta dylaniana come "When the Angels Played" o nella spettrale "World Undone") e gli umori che traspirano dal confine meridionale dell'Arizona (nel disinvolto strumentale "Coyoacán", in onore del sobborgo di Città del Messico dov'era cominciata la lavorazione di Edge of the Sun). Sono però gli episodi più ostentatamente "meticci" - la ballata pop a trazione elettronica "Tapping on the Line", oppure "Cumbia de Donde", dove un sintetizzatore s'intrufola nella strumentazione etnica, creando un buffo ibrido interculturale - a costituire il punto di sintesi più alto del progetto, che a dispetto di alcune manfrine mainstream - tipo la squillante "Falling from the Sky", in apertura di sequenza - conferma nella circostanza tutta la propria gustosa consistenza.