Tra i dischi più intriganti usciti (l’etichetta è ECM) in questa seconda metà del 2016, The Declaration Of Music Independence del quartetto del batterista Andrew Cyrille offre certamente più di qualche spunto di riflessione.
Quello di Cyrille è infatti un nome imprescindibile nelle vicende del jazz creativo degli ultimi cinquant’anni, a partire dal suo ruolo nei gruppi di Cecil Taylor (ma anche insieme a John Carter, a Horace Tapscott, a Marion Brown o alla Jazz Composers’ Orchestra), ma anche immenso triangolatore di magie in quel capolavoro che è Nuba con Jeanne Lee e Jimmy Lyons.
Con lui ci sono qui Bill Frisell alla chitarra (riportato meritoriamente a una dimensione avventurosa e esplorativa in cui eccelle e che i suoi recenti progetti sembrano avere obliato), Ben Street al contrabbasso e un maestro del sintetizzatore come Richard Teitelbaum a tastiere e pianoforte.
Una formazione solo apparentemente “incongrua”, che nasce dalle frequentazioni del passato (con Ben Street nel trio del tastierista danese Soren Kjaergaard, con Frisell la connessione, sempre nordica, è Jakob Bro, mentre con Teitelbaum c’è un’amicizia ormai pià che quarantennale) e che lavora a una musica di suggerita elusività, fatta di timbri felpati e inquieti slittamenti magmatici.
Il disco si apre con “Coltrane Time”, un tema che Coltrane non ha mai inciso (nonostante qualche recensore in giro per il web la definisca “una versione astratta di” o una “cover”) e che è giunto a Cyrille attraverso il compianto Rashied Alì. Un tema che in qualche modo stabilisce un mood sospeso e di grande finezza timbrica, cui i musicisti contribuiscono sia con alcune composizioni collettive, che con alcuni brani che accendono di volta in volta scintille dal silenzio o ne curvano il mistero in frasi di austera efficacia.
È una vera e propria dichiarazione di indipendenza, questo lavoro: di indipendenza, ça va sans dire dalle mode del momento (sia il batterista che Teitelbaum sono sostanzialmente dei musicisti sfasati rispetto al proprio tempo, quindi perfettamente contemporanei) che dalle atmosfere eicheriane che la collocazione all’interno del catalogo ECM potrebbe suggerire. Perché è in fondo un senso di irrequietezza creativa quello che anima il disco, una sublimazione eterea – e anche sottilmente legata a un immaginario melodico di matrice folk – delle più accese tensioni degli anni d’oro dell’avanguardia, nei quali Cyrille è stato un protagonista in prima linea.
Nessuna sorpresa dunque che un artista ormai settantacinquenne senta l’esigenza di affidare a un disco questa mai sopita volontà esplorativa e che, per sottrazione, giunga spesso al cuore di un discorso cui è impossibile porre un punto fermo. Eccentrico e da ascoltare.