Fire Rush è il romanzo d’esordio della scrittrice cinquantanovenne Jacqueline Crooks, inglese ma nata in Giamaica, fattasi conoscere nel 2018 con la raccolta di racconti The Ice Migration.
Il romanzo (che esce per Penguin Random House) è il risultato di sedici anni di lavoro e ha ottenuto un immediato successo in Gran Bretagna (è anche in corsa per il Women’s Prize). Racconta il viaggio di una giovane donna con genitori giamaicani tra Londra e Bristol alla fine degli anni Settanta, per finire nella Giamaica rurale e mistica dei Maroon, e ha evidentemente colpito i lettori che si sono affezionati (impossibile non farlo, è successo anche a me) alla giovane Yamaye.
Il suo viaggio si rivelerà una ricerca delle sue radici di donna nera, in un territorio dove il mondo dei vivi e quello dei morti spesso coincidono, dove i sommersi non potranno mai essere salvati, parafrasando Primo Levi.
Interessante, no? Certamente, ma la musica? Bene, lo dico subito: questo non è un libro di argomento strettamente musicale ma è musicale nel suo ritmo e nella sua atmosfera. La musica c’è, è una costante delle notti della protagonista e ovviamente è reggae, declinato soprattutto nei sottogeneri del lover’s rock, del dub e del toasting, e c’è nella lingua impiegata dall’autrice, un Jamaican patois così stretto da rendere quasi impossibile la traduzione in altre lingue senza perdere gran parte del ritmo e della bellezza dei dialoghi e delle descrizioni.
Vi confesso che, se ne fossi stato capace, avrei voluto scrivere quest’articolo in piemontese per rendere un doveroso omaggio al lavoro fatto dalla Crooks ma, per vostra fortuna, lo so soltanto parlare. E allora avanti, di corsa, con gangster, poliziotti assassini, Obeah men, periferie popolate da immigrati caraibici e notti trascorse nelle dancehall con casse grandi come armadi quattro stagioni.
«One o’ clock in the morning. Hotfoot, all three of us. Stepping where we have no business» - Fire Rush, e la storia può cominciare
La protagonista Yamaye, al principio in compagnia di due amiche – Asase, giamaicana, e Rumer, irlandese –, è attirata con l’inganno in un sottobosco di gangster violenti e comunica con i suoi progenitori giamaicani attraverso il DJ toasting su musica dub. È un mondo che Jacqueline Crooks conosce bene e che disegna in modo artistico basandosi sulle sue esperienze giovanili di rave e frequentazioni di gang a Southall, nella West London degli anni Settanta, aggiungendo le credenze sovrannaturali nell’Obeah (una tradizione di cure e incantesimi della diaspora africana, popolare soprattutto in Giamaica).
«Fire Rush è in larga parte basato sulla mia esperienza di giovane donna in un mondo dominato dai maschi. Sperimentando l’oppressione. Ballando con persone meravigliose. Il lato oscuro e anche quello luminoso» - Jacqueline Crooks
Per sua stessa ammissione, durante il processo creativo la scrittrice ascoltava Lee “Scratch” Perry, Gregory Isaacs, Dennis Brown e il Coxsone Sound System; bene, direi di adeguarci guardando questo video in cui Dennis Brown e Gregory Isaacs fanno “Raggamuffin (Big All Around)”: «Days of wine and roses are no longer around, strickly raggamuffin make a rule of this town»…WHEEEEEEL!
L’amore cambia ogni cosa – o, come dice Titta Di Girolamo, il protagonista de Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino, mirabilmente interpretato da Toni Servillo: «progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore». Yamaye vive per il weekend, momento in cui può andare con le sue amiche alle serate al The Crypt, un club underground ma anche letteralmente sotto terra nella cittadina industriale nei sobborghi di Londra dove è nata e cresciuta: per la precisione lei abita al Tombstone Estate, un agglomerato di casermoni il cui nome dice tutto.
«Tombstone Estate gyals — Caribbean, Irish. No one expects better. We ain’t IT. But we sure ain’t shit. All we need is a likkle bit of riddim. So we go inna it, deep, into the dance-hall Crypt» - Fire Rush
Lei è una giovane donna senza certezze per il proprio futuro, la sua unica guida è il suono, la sua unica possibilità per scoprire chi è veramente risiede in quei ritmi di quelle nottate piene del fumo degli spliff di ganja. Nell’oscurità della dancehall, il dub è la musica della sua anima, delle sue amicizie, della sua ascendenza giamaicana.
A questo punto l’unica cosa che vogliamo è il dub di King Tubby, di Scientist, di Lee “Scratch” Perry, di Niney The Observer, di King Jammy, dei rockers uptown, di quegli eroi in grado di sbiancare le facciate dei palazzi senza bisogno del superbonus al 110%, giusto?
Ma tutto cambia quando Yamaye incontra Moose, l’uomo di cui s’innamora profondamente e che le offre un’opportunità di libertà e di fuga. Quando la sua relazione è bruscamente interrotta perché Moose è ucciso dai poliziotti in commissariato dopo un arresto immotivato – nel 1979 entrò in vigore la cosiddetta SUS, Suspect Under Suspicion, legge poi abrogata nel 1981 che permetteva alla polizia di fermare, perquisire e arrestare chiunque (beh, diciamo soprattutto i neri) sulla base del sospetto – la povera Yamaye intraprende un drammatico viaggio di trasformazione che la porta prima a Bristol – dove, suo malgrado, bazzica una gang criminale ed è coinvolta negli scontri che dilagano in tutta l’Inghilterra – e poi in Giamaica, dove il passato e il presente si scontrano con conseguenze esplosive.
«He takes my hand, pulls me to him. 'This is our dancing time'» - Moose e Yamaye sono a The Crypt, lui prende la sua mano, tira Yamaye verso di sé e le dice che è arrivato il momento in cui loro due balleranno insieme, perché quello non è un momento qualsiasi ma è proprio il momento tutto loro.
Non vado oltre, mi limito a dire che la parte finale nella terra dei Maroon (africani fuggiti dalla schiavitù) è mistica e struggente. Come ho già anticipato, dubito che questo romanzo sarà tradotto e pubblicato in Italia; se conoscete l’inglese, non spaventatevi di fronte al Jamaican patois, comprate questo libro e abbandonatevi al suo ritmo boombastico.
In un momento storico in cui il razzismo sembra essere tornato quello degli anni Settanta, questo romanzo lo sottolinea in maniera marcata ma addolcisce questa disgustosa sensazione rendendo a tutti gli effetti il dub il co-protagonista della storia. E allora give me the riddim, let it roll, roll, give me the version, hey, give me the version, wo-o-ow, and this is what I'm longing for, version, yay, reggae version, version, version, wo-o-ow. Non è un disco ma, credetemi, è come se lo fosse.
«L’uomo predica la rivoluzione ma è la donna a portarne il suono» – Yamaye
P.S. Nel corso di un’intervista Jacqueline Crooks ha consigliato la lettura di tre libri: Breve storia di sette omicidi di Marlon James, Il danzatore dell’acqua di Ta-Nehisi Coates e La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead: avendoli letti tutti e tre, mi sento di approvare questi suggerimenti.
E per finire, sulla pagina Facebook di Jacqueline Crooks – dove si definisce «born in Jamaica, riddim lover» – compare una sua foto in compagnia della Dancehall Queen londinese Shelaine Prince che indossa…sì, una mesh marina.
Foto di Jacqueline Crooks con Shelaine Prince
Jacqueline Crooks – Fire Rush (Penguin Random House)
Ennio Bruno