Il vuoto zen

Il flautista Roberto Fabbriciani racconta Giacinto Scelsi

Articolo
classica

Tutte le occasioni sono buone quando si tratta di avvicinarsi al mondo sonoro enigmatico ed affascinante di Giacinto Scelsi. L'uscita del volume n. 6 della Scelsi Collection (Stradivarius) - dedicato ai lavori per flauto con protagonista assoluto Roberto Fabbriciani - è quella imperdibile.

Il cd è di grande interesse, colmo di misteri, silenzi, vibrazioni spirituali. Negli anni Cinquanta Scelsi lavora molto su composizioni per strumento solo, li concepisce come laboratori in vista delle grandi opere per orchestra. Proprio in questi lavori lo Scelsi-pensiero lo si percepisce in modo emblematico, a tratti travolgente. L'esplorazione timbrica, l'ampliamento della gamma coloristica, le figurazioni ritmiche, i movimenti di espansione e contrazione dello spettro armonico, il suono che riverbera nei silenzi, tutti elementi messi in gioco per scavare fino in fondo le possibilità espressive del flauto, del quale viene salvaguardato intatto, anzi amplificato, il fascino ancestrale.

Sulla partitura di Maknongan del 1976 Scelsi indica i musicisti ai quali affidare l'interpretazione, per il flauto octobasso: Roberto Fabbriciani. Questa destinazione non sorprende, è già consolidata tra loro una ricca collaborazione. Con raffinata capacità interpretativa e creativa, rigore e virtuosismi il flautista garantisce alle partiture di Scelsi una vitalità, una densità, una dinamicità inarrivabili.

Abbiamo posto proprio su questo lavoro alcune domande a Fabbriciani, riconosciuto uno dei maggiori interpreti internazionali del proprio strumento.

Per chi, come te, si avventura da anni con i suoi flauti nelle inquiete e visionarie pieghe dei percorsi musicali del secondo Novecento cosa ha significato l'incontro con il mondo sonoro di Giacinto Scelsi?
«Ho conosciuto Giacinto Scelsi alla fine degli anni Sessanta a Roma in occasione di un concerto del festival Nuova Consonanza di cui era fondatore. Ero molto interessato ed affascinato dalla sua musica, incontrarlo personalmente fu emozionante e motivo di maggiore curiosità nei confronti della sua arte. Negli anni seguenti ho eseguito frequentemente in Italia e all'estero le sue partiture per flauto, anche in prima esecuzione. Il 19 gennaio 2008 al festival Ultraschall - Das Festival für neue Musik di Berlino, eseguii in prima Tetratkys appena ritrovato, grande e virtuosistico brano per flauto solo già composto nel 1954.
L'incontro con Scelsi mi ha dato una prospettiva anti-accademica, pura creatività ed ispirazione. Il flauto è uno strumento antichissimo che rimanda alle origini più remote dell'uomo e Scelsi esalta lo strumento nelle sue sonorità primitive e nel suo timbro arcaico, potenziandone anche le possibilità espressive».

Risulta emblematico che un musicista come Scelsi, che ha messo in discussione in modo radicale autorialità e diffusione stessa della musica - arrivò a dire diamo fuoco al palazzo Salabert (il suo editore parigino) - sia immediatamente riconoscibile sin dalle prime note. Quali sono gli elementi che ne caratterizzano il linguaggio?
«Il modo di cantare nello strumento, il modo di timbrare i suoni e di farli vibrare. Il frequente uso di microintervalli, glissandi e portamenti in una combinazione raffinata, in una ricerca sottile, quasi teso ad una mistica del suono. Cesellare e plasmare il suono è un modo di coltivare il suo spirito esoterico, in questa creazione sonora il flauto supera se stesso, trascende le sue peculiarità strumentali immerso in un universo di pensiero e di riflessione. Scelsi si distacca dal particolare per indagare il suono nella sua dimensione autonoma rispetto allo strumento, in una improvvisazione priva di condizionamenti molto vicino al vuoto zen».

L'esplorazione profonda e totale del suono, comune a molti compositori suoi coetanei, assume in Scelsi un carattere unico nei suoi valori spirituali, di trascendenza. Cosa significa interpretare Scelsi?
«Scelsi lascia all'interprete una grande libertà nel trovare il modo migliore per raggiungere un risultato sonoro. Il suo segno stimola l'interprete innanzi tutto alla ricerca di una sintonia spirituale con il compositore e poi ad avvicinare il suono e la musica alla natura. La musica è nella natura».



Il volume 6 della Scelsi Collection che ti vede protagonista in pezzi che vanno da Quays del 1953 ad una doppia versione di Maknongan (una per flauto basso, l'altra per flauto octobasso) del 1976 documenta in modo straordinario l'estetica scelsiana. Quanto questa ha modificato l'approccio al tuo strumento?
«La sua estetica non ha modificato l'approccio al flauto e alla tecnica strumentale, ma è innovativa rispetto al pensiero musicale. Scelsi introduce ed invita ad esplorare le altezze e i colori del suono. In un tono, per Scelsi, ci sono mille mondi interi. Quei mille mondi interi sfuggivano al calcolo e alla pura razionalità, erano un fatto assimilabile alla natura e alla trascendenza. Non è un caso che dagli spettrali, Grisey e Murail, Scelsi venne riconosciuto come un grande precursore della loro estetica».

Proprio riguardo ad Maknongan nell'edizione edita da Salabert, oltre alla destinazione strumentale, Scelsi aggiunge note dove indica i musicisti ai quali affidare il brano: tu per il flauto octobasso e Giancarlo Schaffini per la tuba (per segnalare i due italiani). Quale valenza dare a questa inusuale destinazione personalizzata e plurima?
«Questo avvenne anche con altre partiture. Così usava scrivere anche Nono: accanto al pentagramma c'era scritto Roberto! La valenza sta nella simbiosi estrema e nella collaborazione stretta, nella sintonia di pensiero tra compositore ed interprete, al punto che l'autore del brano identifica lo strumento con chi lo suona».

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