Pronti? Via!
Apriamo la nostra carrellata con You've Been Watching Me (ECM) del gruppo Snakeoil del sassofonista Tim Berne. Come si è potuto ammirare anche dal vivo nella recente tournée italiana, il gruppo è certamente tra i più significativi della scena contemporanea, grazie a una musica che per complessità, intelligenza, impatto, originalità sonica, ha pochi rivali. Il nuovo disco lo conferma appieno, aggiungendo al quartetto "base" la chitarra di Ryan Ferreira, perfettamente inserita sia dal punto di vista timbrico che "strutturale" in un tessuto che si muove per quadri di inquieta plasticità, tra ostinati sghembi e rarefazioni minacciose.
Oltre al già citato Ferreira, la scrittura densa di Berne trova nei clarinetti di Oscar Noriega, nelle percussioni di Ches Smith e soprattutto nel pianismo profondissimo di Matt Mitchell il mezzo ideale per dispiegare una bellezza screziata di ansia e di contemporaneità. Splendido!
Troviamo Noriega (ospite in due brani) anche nel nuovo lavoro del gruppo Anti-House della sassofonista tedesca - ma da qualche anno nel "giro" newyorkese - Ingrid Laubrock. Con lei ci sono la dolcezza abrasiva della chitarrista Mary Halvorson, il pianoforte della sempre più brava Kris Davis, il contrabbasso di John Hébert e la batteria di Tom Rainey.
Musica fatta di contrasti, quella contenuta in Roulette Of The Cradle (Intakt Records) in un processo di condivisione collettiva in alcuni momenti austero e non facile, ma che produce un camerismo fibrillante che sfugge dalle dita quando si tenta di afferrarne l'essenza. Non è certo un difetto!
Facciamo un bel salto indietro nei decenni, per celebrare senza se e senza ma la pubblicazione del doppio cd (o triplo lp) In The Beginning - Early Recordings from 1949-1958 (Resonance Records) del chitarrista Wes Montgomery. Un po' di numeri: 26 tracce inedite sia dal vivo che in studio, un nutrito booklet, un decennio non troppo documentato nella discografia di Montgomery.
Con i fratelli Buddy e Monk (piano e contrabbasso), ma anche con molti altri musicisti di cui si sono perse le tracce, il chitarrista affronta standard e blues già dimostrando - gli appassionati perdoneranno la qualità sonora non sempre perfettissima - i germogli di quella fantasia solistica che lo farà entrare nell'olimpo dei grandi solo pochi anni dopo.
Torniamo alle novità, ma con uno sguardo alla tradizione, con il nuovo lavoro della cantante Dee Dee Bridgewater, un vero e proprio viaggio nella musica di New Orleans.
Dee Dee's Feathers (Okeh Jazz), con la decisiva collaborazione di Irvin Mayfield & The New Orleans Jazz Orchestra, è un disco elegante e divertente, che racconta tutte le anime della città, da Armstrong a Dr. John (ospite inevitabile e graditissimo), da "Saint James Infirmary" a "Come Sunday". Sontuosa e luccicante, nostalgica e sognante, la New Orleans della Bridgewater non è forse mai esistita, ma si fa ascoltare con piacere.
Nelle scorse settimane sono usciti anche due nuovi dischi di Keith Jarrett.
Il primo, Creation (ECM), raccoglie alcuni momenti tratti da concerti solisti dell'anno scorso, a Tokyo, Toronto, Parigi, Roma. Nel secondo Barber/Bartok/Jarrett (ECM New Series) troviamo il pianista alle prese con due concerti per pianoforte e orchestra, quello di Samuel Barber (registrato a Saarbrucken nel 1984) e il terzo di Bela Bartòk (a Tokyo nel 1985), per chiudere con il bis del concerto giapponese.
Dischi che probabilmente non aggiungono molto a quanto già conosciamo della musica di Jarrett, il che - tradotto in parole semplici - significa che chi lo ama correrà a procurarsi i due lavori, chi invece lo ama meno (o pensa, magari non del tutto a torto, che l'artista stia da anni capitalizzando una messe di registrazioni e un'aura mitica che ne eccede l'indubbio valore) lascerà perdere. A voi la scelta, noi segnaliamo perché il livello è sempre alto.
Magari qualcuno potrebbe ad esempio preferire il Koln Concert 1976 (Domino Records) appena riproposto.
Ma come? Il Koln Concert?
Tranquilli, fare un concerto a Colonia negli anni Settanta non è stato appannaggio del solo Jarrett, ma anche, tra gli altri, di Bill Evans, pianista il cui linguaggio ha rappresentato un punto di riferimento essenziale per lo stesso Jarrett.
Il trio è quello con Eddie Gomez al contrabbasso e Eliot Zigmund alla batteria, il repertorio quello "classico" del periodo, che alle immancabili "Time Remembered" e "Turn Out The Stars" affianca "Morning Glory" o "Sareen Jurer". Il pianismo di Evans si sta spostando in quel periodo verso l'irruenza inquieta degli ultimi anni, qui e lì emergono alcune formule, ma è sempre un grande sentire. Le tre bonus tracks vengono da un concerto milanese del 1972.
Tra i tanti pregi che alcuni Festival jazz italiani (spiace dire che non sono sempre i più "grandi" o "ricchi", anzi) hanno saputo dimostrare in questi anni, c'è certamente la possibilità di costruire progetti in cui si mettono in contatto musicisti italiani con grandi artisti della scena internazionale. Lontani dalla retorica un po' logora del "grande" americano che si accompagna con una sezione ritmica di casa nostra, alcuni di questi progetti fanno scoccare davvero delle scintille creative speciali, come nel caso dell'incontro tra il trombettista Wadada Leo Smith e il quartetto Eco d'Alberi, progettato dal festival Novara Jazz e ora diventato un disco intitolato con la data del concerto June 6th-2013 (Novara Jazz Series).
Un incontro totalmente improvvisato, ma in cui scatta una vera e propria magia, favorita dalla straordinaria sensibilità umana e musicale di Smith e dal fatto che il quartetto (formato da Edoardo Marraffa ai sassofoni, Alberto Braida al piano, Antonio Borghini al contrabbasso e Fabrizio Spera alla batteria) è tra le formazioni di casa nostra che con maggiore consapevolezza sa muoversi tra l'eredità della new thing e le braci della nuova improvvisazione. Libero e bruciante!
Ci spostiamo su un asse creativo che unisce Portogallo e Olanda/Belgio per il nuovo lavoro del trio Lama Joachim Badenhorst. Si intitola The Elephant's Journey (Clean Feed) e si presenta come una "visione" jazz elettroacustica dell'omonimo libro di José Saramago.
Guidato dal contrabbassista Gonçalo Almeida e forte del contributo della bravissima trombettista Susana Santos Silva e del batterista Greg Smith, il trio apre i materiali legati alla tradizione più recente del jazz a "interferenze" elettroniche e il timbro inquieto dei clarinetti di Badenhorst aggiunge alla ricetta sapori di amarognolo fascino. Ricetta gustosissima.
L'elettronica è protagonista anche del progetto Star Hip Troopers, realizzato dal produttore e dj Mess Morize con il contributo di molti jazzisti di casa nostra. In Planet E (Parco della Musica Records) dub e bagliori cosmic jazz si intrecciano in un flusso ininterrotto, dal sapore notturno.
Tra i jazzisti coinvolti (e usati come "materiale" che emerge e si inabissa nei beats) troviamo sassofonisti come Piero Delle Monache, Raffaele Casarano o Francesco Bearzatti, il trombettista Luca Aquino, il pianista Claudio Filippini, il trombonista Mauro Ottolini e il contrabbassista Riccardo Gola. Idee e esiti non sono nuovi, ma il tutto fluisce con grande malìa. Per notti d'estate insonni...
Chiudiamo i nostri magnifici 10 con un bellissimo concerto di Art Blakey & The Jazz Messengers. Si tratta di At The Free Trade Hall 1961 (Solar Records), registrato a Manchester durante la tournée europea di quell'anno, un paio di mesi dopo la registrazione di The Witch Doctor di cui vi facciamo sentire un estratto.
La registrazione non è qualitativamente ottimale, ma la forma dei solisti - in particolare Lee Morgan alla tromba e Wayne Shorter al tenore - lo è eccome! In classici come "Dat Dere", "A Night In Tunisia", "Are You Real" o "It's Only A Paper Moon" il quintetto (completato da Bobby Timmons e Jymie Merritt oltre al batterista) è davvero scoppiettante e vale la pena di sforzare un po' l'orecchio per immaginare la magia di quella sera..