La European Jazz Conference, gli stati generali del jazz continentale, si terrà per la prima volta in Italia dal 12 al 15 di settembre 2019 a Novara.
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Abbiamo colto l’occasione della European Jazz Conference per porre a 8 direttori e direttrici artistiche europee 5 domande sul proprio lavoro e sulla propria visione. Si tratta di Pierre Dugelay (Le Périscope – Lyon, Francia), Sunna Gunnlaugs (Reykjavik Jazz Festival, Islanda), Emily Jones (Cheltenham Jazz Festival, UK), Kenneth Killeen (12Points, Irlanda), Martyna Markowska (JazzArt Festival – Katowice, Polonia), Jan Ole Otnaes (Victoria Nasjonal Jazzscene – Oslo, Norvegia), Frank van Berkel (BIMHUIS – Amsterdam Olanda) e Wim Wabbes (Handelsbeurs – Gent, Belgio).
Nelle puntate precedenti (che trovate qui e qui) abbiamo parlato del ruolo del curatore e del pubblico. Spesso si ritiene che la musica possa essere un elemento di cambiamento sociale, e su questo abbiamo interrogato i nostri interlocutori.
Credi che la musica e il jazz in particolare possano essere un fattore rilevante di cambiamento sociale? E se sì, in che modo questo può convivere con l’idea tradizionale di concerto/festival?
Pierre Dugelay (Lione): «Il jazz è senza dubbio un ottimo ambiente per attivare l’emancipazione sociale. La sua posizione, ben radicata nella musica popolare e allo stesso tempo “intellettuale” può consentire la costruzione di relazioni tra le comunità di ascoltatori e raggiungere anche persone lontane da questo mondo.
«Va ripensata l’immagine dei festival e delle sale da concerto, va immaginata la loro capacità di aprirsi in modo volontaristico al pubblico».
«Detto questo, nulla è scontato o facile: va ripensata l’immagine dei festival e delle sale da concerto, va immaginata la loro capacità di aprirsi in modo volontaristico al pubblico. Questo comporta tempo e energie e deve riuscire a convivere in modo armonioso con la programmazione, senza limitarla».
Sunna Gunnlaugs (Reykjavik): «La musica può assolutamente esercitare un impatto rilevante dal punto di vista sociale e ci sono diverse opportunità ai concerti e nei festival per dare rilevanza a questi temi e aumentare la consapevolezza che sta alla base del cambiamento. La musica può essere un potentissimo strumento per connettere i bambini o persone con un differente background in attività comuni che cementino l’unità e la comprensione».
Emily Jones (Cheltenham): «La musica è un linguaggio universale e i musicisti hanno l’opportunità di comunicare idee con parole, musica e la performance stessa. Tutti elementi che, se combinati, sono più potenti delle sole parole di politici e attivisti. I musicisti di successo poi hanno l’opportunità di rendere consapevole un vasto pubblico su temi che magari non erano stati approfonditi, quindi sì, in un certo senso possono promuovere un cambiamento sociale, idea che mi sembra sia anche centrale nella storia del jazz. Leggo a volte commenti sul tenere separata la musica dalla politica e penso alla tensione che si genera tra l’idea di festival come momento di svago e il potenziale attivismo della musica. È una cosa evidente in questo periodo nel Regno Unito e quest’anno abbiamo ricevuto qualche commento sul fatto che qualche musicista del festival parlava troppo di politica durante il concerto. In fondo credo che l’idea di un jazz capace di stimolare un cambiamento sociale possa convivere con il formato festival, perché spesso i pubblici del jazz cercano uno stimolo intellettuale e si deve continuare a fornirlo».
Kenneth Killeen (Irlanda): «Il jazz è sempre stata una musica che riflette aspetti socio economici, razziali e altre più ampie condizioni. Come una spugna, assorbe e restituisce. Questo può produrre una musica che parla direttamente alle comunità, ma lo fanno anche altre forme artistiche, per esempio il rap e l’hip hop raccontano la società più efficacemente del jazz. Se la musica è astratta, comunque, individuare dei temi o delle narrative differenti può essere potentissimo e aprire strade interdisciplinari. Anche qui il tema dell’improvvisazione è centrale: il “motore” jazz, costituito da musicisti talentuosi, collaboratori entusiasti e spontanei conversatori musicali ha una capacità tutta sua di estendersi a molti generi e innescare un cambiamento. Dobbiamo essere innovativi come questo approccio musicale quando programmiamo».
Martyna Markowska (Katowice): «Senza alcun dubbio! Nel caso di JazzArt ci crediamo con tutte e tutti noi stessi, perché essendo qualcosa di più di una rassegna di concerti, è il nostro obiettivo principale. La prospettiva sociale e il coinvolgimento attivo è uno dei punti cardine dei Festival radicati nel territorio, da New York a Adelaide, che parlano a nome delle donne, della giustizia».
Jan Ole Otnaes (Oslo): «Senza dubbio, quello che abbiamo imparato in questi anni dal gender balance ci ha spinto a interessarci di più di musiciste donna».
«Quello che abbiamo imparato in questi anni dal gender balance ci ha spinto a interessarci di più di musiciste donna».
«Assistiamo a un cambio e a una rinnovata consapevolezza tra i direttori artistici per quanto riguarda i nuovi talenti e, per fare un esempio, con progetti di EJN come “Take The Green Train” abbiamo creato una grande consapevolezza sui temi della sostenibilità».
Frank van Berkel (Amsterdam): «L’elemento di rinnovamento sociale sta proprio ne fatto che il jazz è in grado di raggiungere pubblici molto variegati, incorporando influenze e stili così differenti. Ne esce un mix di persone diverse che trovano in un luogo il terreno comune per un dialogo. Nuovi pubblici per nuove musiche».
Wim Wabbes (Gent): «Un importante produttore teatrale una volta ha detto: “il teatro è libidine per la mente”. Lo stesso è per la musica, specialmente il jazz e quella improvvisata. Ascoltare musica avventurosa e a volte complessa fa lavorare la tua testa e questa è una cosa. L’altra è che il jazz è sempre riuscito, in ogni ambito, a mettere insieme persone di diverso tipo, creando una pratica in cui la diversità culturale, sociale, di genere, porta a musica meravigliosa. Qualcuno dice che la musica non cambia il mondo, ma può cambiare le persone e sono le persone che cambiano il mondo…».
«Qualcuno dice che la musica non cambia il mondo, ma può cambiare le persone e sono le persone che cambiano il mondo…».