La annuale European Jazz Conference arriva in Italia. Accadrà dal 12 al 15 di settembre a Novara e la città si appresta a accogliere oltre 300 direttori artistici, musicisti, curatori, organizzazioni nazionali e professionisti del settore che si riuniscono per 3 intense giornate, confrontandosi sui principali temi artistici e organizzativi del settore.
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Organizzata da Europe Jazz Network con Novara Jazz (e con il supporto di Comune, Regione, MiBAC, nonché di I-Jazz, di Puglia Sounds e della Fondazione Musica per Roma), la International Jazz Conference è uno dei momenti centrali della vita jazzistica continentale e il fatto che si svolga in Italia – per la prima volta con questa formula, mentre l’Assemblea Generale di EJN era già stata ospitata a Bari – costituisce un momento importante per un settore che in questi ultimi anni ha compiuto sforzi importanti per dotarsi di strumenti strategici al passo con quello di altre nazioni europee.
Intenso anche il cartellone di showcase e di concerti, da quello di gala che vedrà impegnati l’ottetto di Franco D’Andrea e il progetto Cosmic Renaissance di Gianluca Petrella, ai tanti momenti fringe che animeranno la città.
Il programma completo di interventi, tavole rotonde, gruppi di lavoro, concerti e iniziative, dal titolo Feed your Soul, può essere consultato qui. L’obiettivo è quello di esplorare il ruolo della musica e della cultura nelle differenti comunità che vivono l’Europa di oggi.
Mai come in questi anni infatti, l’idea stessa di costruzione di un nuovo pubblico e di nuove modalità per le musiche che si fanno rientrare nell’ampio ombrello definitorio del jazz passa per una necessaria riflessione sulle esigenze culturali di comunità sempre più articolate e in cerca di sviluppi che raccontino la complessità identitaria del presente.
Abbiamo colto l’occasione della European Jazz Conference per porre a 8 direttori e direttrici artistiche europee 5 domande sul proprio lavoro e sulla propria visione.
Abbiamo colto l’occasione della European Jazz Conference per porre a 8 direttori e direttrici artistiche europee 5 domande sul proprio lavoro e sulla propria visione. Si tratta di Pierre Dugelay (Le Périscope – Lyon, Francia), Sunna Gunnlaugs (Reykjavik Jazz Festival, Islanda), Emily Jones (Cheltenham Jazz Festival, UK), Kenneth Killeen (12Points, Irlanda), Martyna Markowska (JazzArt Festival – Katowice, Polonia), Jan Ole Otnaes (Victoria Nasjonal Jazzscene – Oslo, Norvegia), Frank van Berkel (BIMHUIS – Amsterdam Olanda) e Wim Wabbes (Handelsbeurs – Gent, Belgio).
Ecco la prima puntata della nostra inchiesta sul jazz in Europa, oggi.
Quali sono le idee principali attorno cui ruota il tuo progetto curatoriale e di programmazione?
Pierre Dugelay (Lione): «Le Périscope nasce come un luogo pensato e gestito dai musicisti per lavorare e suonare. Anche se i musicisti non sono più oggi i responsabili della programmazione, cerchiamo di mantenere questa identità di luogo di produzione, un’officina aperta al pubblico e in cui accogliamo la scena artistica di Lione – quella già attiva e quella che sta nascendo – per residenze e nuove creazioni. Ovviamente sono benvenuti anche artisti francesi di jazz, ma anche qui con una particolare attenzione per progetti originali, esperimenti e debutti. Una parte del nostro intenso programma (più di 120 concerti l’anno) è poi riservata a artisti europei e internazionali, con in mente gli stessi obiettivi. Abbiamo anche un’attenzione per hip hop, rock e elettronica, nei modi più indipendenti e innovativi, in pieno dialogo con il jazz che sosteniamo».
Sunna Gunnlaugs (Reykjavik): «Il nostro obbiettivo principale è di proporre del jazz di qualità alla nostra comunità e di creare opportunità per i musicisti islandesi di esibirsi per un pubblico sempre più allargato».
Emily Jones (Cheltenham): «La parola jazz definisce oggi un ombrello molto vasto di pratiche e stili e il nostro festival ne copre molti, così come si occupa di altre musiche che in qualche modo hanno il jazz nel proprio DNA, dal blues al soul, dal funk al pop e alla musica improvvisata non occidentale. Il nostro obiettivo è di celebrare il jazz e la musica improvvisata nell’arco di sei giorni, in un bellissimo parco regale così come in tanti luoghi da concerto del centro. Gli obiettivi principali della programmazione sono di presentare il meglio del jazz e dintorni, creando un’esperienza unica e personalizzata per il nostro pubblico, sviluppando talenti artistici e integrando il nostro lavoro educativo annuale nel festival».
«Abbiamo sottoscritto l’impegno di Keychange di raggiungere un equilibrio di genere 50/50 entro il 2022».
«Per noi è importante rendere accessibile a tutti la musica, per questo più di metà del programma è gratuito e si tiene all’aperto in città. Tengo molto anche a dare attenzione alla creatività femminile: abbiamo sottoscritto l’impegno di Keychange di raggiungere un equilibrio di genere 50/50 entro il 2022. Quest’anno il 60% dei gruppi coinvolgeva musiciste e abbiamo anche commissionato una ricerca sull’esperienza delle donne che fanno jazz nel Regno Unito».
Kenneth Killeen (Irlanda): «All’interno della nostra attività di programmazione, che include festival, concerti nei club e progetti di crescita per i musicisti, siamo guidati fondamentalmente da tre principi: lo sviluppo dell’artista, lo sviluppo della forma artistica e lo sviluppo del pubblico. Il nostro obiettivo è che in ogni nostra attività siano sempre chiare e presenti almeno due di queste tre prospettive. L’artista è centrale nella nostra idea di programmazione e ci concentriamo su diversità, innovazione e sostenibilità».
Martyna Markowska (Katowice): «Volendo riassumere brevemente direi: innanzitutto lo sviluppo di progetti interdisciplinari che mettono insieme il jazz e le arti visive; poi la collaborazione tra artisti locali e internazionali, la commissione di nuove opere, l’attenzione alla giovane scena Europea e, non ultimo, il supporto a musiciste donna».
Jan Ole Otnaes (Oslo): «Victoria nasce come luogo per il jazz e le musiche correlate, la nostra missione è di essere i migliori e i più rilevanti programmatori di jazz in Norvegia e di essere anche importanti per tutta la comunità jazzistica nazionale. Ogni due settimane presentiamo la serie Unheard dedicata agli artisti emergenti, programmiamo i più importanti artisti norvegesi e internazionali, adatti a una sala con 300 posti a sedere, musicisti come Chick Corea, Brad Mehldau, Cassandra Wilson, DeeDee Bridgewater, John Scofield… Commissioniamo anche nuova musica e coordiniamo tour nei jazzclub di tutta la Norvegia».
Frank van Berkel (Amsterdam): «Dividerei la questione in due: da un lato la programmazione è il punto di congiunzione tra le esigenze del pubblico e quelle dei musicisti; vogliamo mostrare le cose più recenti e rilevanti in circolazione, siano esse nazionali o internazionali, basta che siano avventurose per tanti pubblici diversi. Dall’altro lato il nostro palcoscenico è una risorsa per stimolare l’innovazione artistica attraverso il programma e lo sviluppo. La Bimhuis cerca di venire incontro alle necessità dei musicisti più giovani e dei nuovi linguaggi e programmando creiamo un dialogo tra questi e il pubblico, un dialogo fecondamente reciproco, che racconti l’arte, la cultura e la società».
Wim Wabbes (Gent): «L’idea principale è quella di organizzare un ambiente musicale creativo dinamico e sostenibile. Costruire una relazione duratura con i musicisti, a ogni livello. Supporto la scena locale e commissiono nuovi lavori, organizzo programmi in cui musicisti locali e internazionali condividono lo stesso palcoscenico e invito gli artisti del territorio a fare parte di progetti internazionali come Melting Pot, che vede coinvolti cinque membri di EJN, Oslo, Berlino, Saalfelden, Wroclaw e Gent. Solitamente creo anche eventi speciali o formati nuovi in cui i musicisti possono sperimentare i propri progetti, oltre ovviamente a programmare artisti internazionali per mostrare al pubblico cosa accade nel mondo. Come curatore ti fai carico di portare quello che succede nella musica sul tuo palcoscenico, le energie, l’avventura, la creatività, dal locale al globale».
«Come curatore ti fai carico di portare quello che succede nella musica sul tuo palcoscenico, le energie, l’avventura, la creatività, dal locale al globale».