La musica è socialità, è comunicazione, è gioia di stare assieme, o comunque di alleviare fatiche o dolori che spesso non troverebbero un canale più adatto per avere efficace e risolutiva camera di compensazione. Oggi meno di un tempo, anche se una funzione residuale, di tutti gli aspetti indicati, non può non esistere perfino nelle società postindustriali e nell'era delle musiche “liquide”. Nelle società legate ai cicli di vita scanditi dai lavori agricoli, dal piccolo commercio spesso itinerante, dalla routine operaia o dalla coscrizione forzata la musica ha notoriamente lasciato immensi serbatoi di canto e note per la danza popolari, tramandati in via orale, e poi, con il procedere della coscienza della “fonofissazione” e dei media anche attraverso altri canali. Le persone hanno sempre viaggiato, le loro musiche di più.
Può essere addirittura successo (e questo splendido libro sta a dimostrarlo) che le persone detentrici di canti e musiche non abbiano avuto che scarsissime occasioni di muoversi dai propri territori. Ma la musica è collante e calce, mastice culturale in movimento: a loro sono senz'altro arrivati stimoli e repertori, nei modi più diversi, loro, a propria volta, sono stati protagonisti (anche inconsapevoli) di memoria e spostamento, di quelle musiche. Mauro Balma, etnomusicologo, ha ricercato per decenni nei repertori popolari. Negli ultimi anni la sua ricerca s'è appuntata soprattutto su trallalero ligure, le forme di canto delle confraternite, la permeabilità dei territori contigui e di area montana e appenninica del Nord ovest – le cosiddette Quattro Province – dunque attraversati da sostanzioie reticoli di vie e sentieri e passi e repertori in larga parte comuni, con piccole variazioni.
Abbiamo così appreso che anche in altissimo entroterra, se facciamo base su Genova, è possibile ritrovare tracce del canto polifonico genovese nato da un sostanziale incrocio di materiali colti e materiali popolari.
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In questo La monachella e le altre. Dagli Appennini alle Alpi. Incontri di voci tra le Quattro Province, la Liguria e la Valle d'Aosta (Nota, 304 pp., 22€, libro + CD mp3) si va oltre. Un giorno a Balma è venuto in mente di mettere in relazione le canzoni degli Appennini e delle Quattro Province con quelle ascoltate, ricercate, catalogate, analizzate in altri decenni di lavoro, in realtà durante i soggiorni per diletto in Valle d'Aosta, un territorio tanto piccolo e aspro quanto interessante, nel suo essere cerniera di confine per un asse di scambi longitudinali che percorre i secoli.
Lo hanno aiutato le sue stesse registrazioni, accumulate negli anni dalle voci dei cantori rintracciati uno a uno, lo ha aiutato l'opera che in Valle d'Aosta meritoriamente era già stata avviata, e aveva fornito migliaia di testimonianze per fortuna scampate all'oblio. A quel punto è iniziato il lavoro di confronto tra i due apparentemente diversi repertori, e il coinvolgimento diretto dell'altro coautore, Carlo M. Rossi, documentarista e regista specializzato nel reportage a carattere etnoantropologico: egli stesso conduttore di una rubrica radiofonica settimanale, per oltre un ventennio, realizzata in francoprovenzale. Gli esiti sono stati esaltanti: quelle genti forse non si sono mai incontrate direttamente, ma hanno condiviso tanti, tanti canti in comune.
Sono qui presentati in un cd che raccoglie cinquanta tracce: venticinque dall'ambito appennino, venticinque “sorelle” e cugine” dagli archivi etnomusicologici antichi e recenti valdostani. In sostanza, come ben argomenta il ricercatore ed etnografo Paolo Ferrari nella sua introduzione, una preziosa tavola vivente fonica sinottica dei canti narrativi e polivocali che hanno saputo viaggiare e attecchire.
Le radici delle persone, si conferma ancora una volta, sono nelle idee, nelle pratiche, e in come si decide di conservarle e comunicarle. Il resto è delirio arroccato pseudoidentitario, e aria alla bocca buona solo per gli slogan.