I magnifici Auand 50

Tocca quota 50 dischi la pugliese Auand, una delle etichette più attive nel raccontare la scena italiana di oggi: intervista a Marco Valente

Articolo
jazz

Nel mondo del jazz italiano la figura di Marco Valente è tra le più atipiche, appassionate e uniche. Già alla fine degli anni Novanta è il primo a mettere il rete i musicisti e gli operatori del jazz italiano (il sito era Italian Jazz Musicians) e a intuire le possibilità dell’e-commerce di dischi jazz (il sito è Jazzos). Nel 2001 fonda un’etichetta dagli inconfondibili colori verde acido e nero, la Auand.

Parola pugliese che significa “attento” o “prendi”, Auand diventa subito un’etichetta di riferimento in un panorama nazionale nel quale le etichette che avevano fatto la parte del leone nei decenni precedenti (Splasc(h), Soul Note, Philology…) mostravano più di qualche difficoltà e l’intuizione di Valente (unita a un certo coraggio un po’ levantino) è quella di lavorare con musicisti giovani dal sound nuovo e fresco.

Non è un caso che il primo disco del catalogo sia anche il debutto da leader del trombonista Gianluca Petrella, così come, poco dopo, sarà Francesco Bearzatti a pubblicare per l’etichetta. Nomi allora poco conosciuti, ma che oggi sono tra i più celebrati della scena musicale italiana.

Incideranno per la Auand nomi internazionali come Cuong Vu, Bill Frisell, Steve Swallow, Bobby Previte, Tim Berne… così come alcuni dei giovani talenti italiani che sono ora una garanzia (Diodati, Partipilo, Arcelli, Graziano, Palazzi, Bortone, ma anche Beltrami, Tossani, oltre ai già affermati Salis, Cecchetto, Angeli, Chant, e molti altri).

In 15 anni Auand è giunta a pubblicare il suo cinquantesimo disco (e oltre), celebrato da un vinile nella cui facciata A troviamo quattro brani del progetto A-Nuda, in cui il contrabbassista Stefano Risso rielabora alcuni estratti del catalogo dell’etichetta, mentre nella facciata B le tracce sono suonate da molti dei “figli” della Auand Family, da Diodati a Partipilo a Giovanni Francesca e altri.



Perché tra le qualità di Valente, oltre a quelle di un ottimo scouting e di una comunicazione sempre fresca, c’è sicuramente quella di dare alla propria “famiglia” un calore e un entusiasmo che aiutano anche a affrontare un mercato certamente non facile.

In occasione di questo disco numero 50, abbiamo fatto qualche domanda a Marco Valente.

Siamo arrivati al cinquantesimo disco Auand: ci avresti scommesso quando hai iniziato questa avventura? Quali erano le tue intenzioni allora e come è cambiato negli anni il mercato e il tuo approccio alla produzione di dischi?
«Quando inizi un'impresa folle non hai alcuna idea di come possa andare per cui eviti di fare calcoli. Ovviamente sono sempre stato ottimista, ma senza pormi né limiti né obiettivi a lungo termine. Nel frattempo il mercato è così cambiato che limiti e obiettivi variano ogni semestre e si è costretti a riformulare il processo in base alle esigenze».

Negli anni hai ottenuto la fiducia di molti musicisti specialmente giovani, alcuni dei quali rappresentano espressione di un jazz italiano di grande qualità. Come ti relazioni con gli artisti, che tipo di lavoro fate assieme, come intervieni produttivamente se lo fai?
«Ho avuto la fortuna di iniziare con due nomi, Gianluca Petrella e Francesco Bearzatti, all'epoca poco conosciuti, che ora rappresentano due realtà tra le più floride del panorama nazionale. Negli anni successivi ho continuato sulla stessa scia.
Per indole preferisco la sfida e sono molto soddisfatto delle scelte fatte. Con gli artisti con cui collaboro cerco sempre di avere un rapporto misto e in equilibrio tra amicizia e consulenza. Non interferisco quasi mai sulle scelte artistiche e prettamente musicali. In alcuni casi decidiamo insieme dove è meglio registrare o con chi o magari mi viene espressamente chiesto di intervenire sulla scaletta. In fondo, se scelgo un musicista in base ad alcune caratteristiche estetiche non ha senso intaccarle in fase produttiva. Vedo il mio lavoro più come un servizio di sostegno al musicista in fase di realizzazione e promozione del prodotto discografico».

Ovviamente i dischi Auand sono molto vari, ma secondo te c’è qualcosa che li accomuna, un "suono Auand"?
«Se non fossero vari non sarei arrivato al cinquantesimo [ride] e mi sarei annoiato molto prima. Credo che il catalogo di Auand abbia un suo senso, rappresentato abbastanza chiaramente dal claim (Energy, Risk, Conviction and the Unexpected). Quello che importa è la documentazione della nuova scena Italiana, che credo sia viva più che mai!».

Come scegli l’artwork?
«Anche per quanto riguarda le copertine c'è un senso. Durante i primi dieci anni ho utilizzato esclusivamente scatti in bianco e nero, ma ad un certo punto ho sentito l'esigenza di avere colori vivi e un po' saturati per avvicinarmi all'estetica musicale che avevo in mente, più diretta ed energica. Gli scatti sono più o meno collegati ai titoli e vengono scelti con i musicisti tra proposte che possono arrivare dal mio archivio o da amici fotografi. In alcuni casi gli scatti sono del musicista stesso».



Quali sono stati negli anni i bestseller dell’etichetta?
«I best seller, per ovvie ragioni di mercato, sono tutti concentrati nei primi anni di attività e quindi X-Ray di Petrella, Virus e Hope di Bearzatti, Ma.Ri di Angeli/Salis, It's Mostly Residual di Vu Frisell, Downtown di Cecchetto, Big Guns di Previte/Petrella/Salis, Playing in Traffic di Swallow/Talmor/Nussbaum.
Ma anche negli ultimi anni, in proporzione, abbiamo avuto ottimi risultati con Diodati, Mr. Rencore, Beltrami, Francesca, The Framers, Graziano, Luz, Palazzi. Inoltre, con la “Piano Series” abbiamo avuto riscontri importanti all'estero per Eugenio Macchia, Kekko Fornarelli, Mirko Signorile e Luca Dell'Anna».



So che sei un grande fan del disco, del cd e del vinile contro il downloading e la fruizione digitale. Che tipo di mercato credi ci sia ora per questa musica, con che formati?
«Vero, non sono mai stato un fan del digitale nonostante lo trovi comodo. Ascolto demo sul cellulare quando sono in viaggio e uso molto Deezer per tenermi aggiornato su rock e pop. Ma resto ancora un grande acquirente di cd e vinili. Li trovo ancora degli oggetti belli da toccare e vedere. Non credo ci siano alternative valide al momento. I nuovi ascoltatori sono quelli che, con curiosità, ascoltano dal vivo e di conseguenza decidono di comprare un disco».

Ho sempre notato una particolare predilezione di Marco Valente per i chitarristi e i suoni elettrici, è così?
«Sicuramente ho una predilezione per la chitarra e il Rhodes, soprattutto quando sono "sporcati" da effetti. Ma mi piacciono molto anche i suoni acustici. In passato ho studiato un pochino il contrabbasso, mi piace molto il vibrafono, il sax tenore, il piano, il clarinetto basso, la tuba... Diciamo che farei prima ad elencare gli strumenti che digerisco meno».

Ci sono etichette che secondo te in questi anni in cui anche Auand è stata attiva hanno lavorato bene e hanno tentato di superare alcune impasse evidenti del settore?
«Fortunatamente in questi anni ci sono state tante etichette attive che hanno contribuito a documentare le tantissime proposte di valore che abbiamo in Italia. Se poi estendiamo il concetto al resto del mondo rischiamo di riempire questo foglio con una lista molto lunga.
Se poi vuoi costringermi a fare due nomi di produttori ai quali devo molto come ascoltatore allora dico Giovanni Bonandrini e Stefan Winter (periodo JMT).

Di un disco in percentuale quanto si vende online, quanto ai concerti direttamente, quanto per altri canali?
«Ormai la percentuale è sbilanciatissima a favore delle vendite ai concerti. Come noto, molti negozi indipendenti hanno dovuto chiudere e, conseguentemente, è venuto meno il negoziante capace di consigliare l'acquisto, un ruolo che andrebbe decisamente recuperato. Ai concerti il musicista si trova nella condizione ideale per convincere l'ascoltatore ad acquistare la propria musica. Del resto, chi meglio di lui può essere così convincente?».

Se ci potessero essere dei supporti strutturali al mondo del jazz in Italia, cosa ti aiuterebbe nell’avventura Auand?
«Le fonti di sopravvivenza potrebbero essere legate al cinema, alla pubblicità o, in generale, ai diritti. Penso sempre a quanto possa essere importante avere più spazio su TV e radio nazionali. Non fosse altro per abituare gli ascoltatori a nuovi suoni».

Quali i prossimi progetti?
«Al momento sono impegnato su una campagna di promozione del cinquantesimo disco in collaborazione con MusicRaiser. E già si procede spediti verso il disco numero 60! Ma non voglio anticipare nulla».

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

jazz

Alla scoperta dei tesori nascosti del jazz anni Settanta

jazz

Unapologetic Expression. The Inside Story of the UK Jazz Explosion di André Marmot ricostruisce la vivace nuova scena di Londra

jazz

Sassofonista e compositore, se ne è andato a 95 anni Benny Golson