In questo strano 2020 "world music" significa sempre meno, al punto che persino i Grammy hanno soppresso la definizione (sostituita con un altrettanto problematico "Global Music"), ma in quel che resta di un circuito già in crisi prima del Covid escono ancora album notevolissimi, e i suoni sembrano più aggiornati alla contemporaneità (finalmente): ecco la classifica dei 10 migliori album world e folk del 2020.
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1. Lina & Raul Refree, Lina_Raül Refree, Glitterbeat
Raül Refree – già al fianco di Rosalìa, tra gli altri – è il produttore e tastierista spagnolo che è riuscito a imprimere nuova linfa al flamenco. Inevitabile e problematico l'incontro con il fado di Lina, clamorosamente sorprendente l'esito finale, con soluzioni oniriche, prosciugate da ogni orpello, dove la forza di piano e synth analogici minimali persi in brusii e echi catalizzano le emozioni. Fenomenale.
2. Melingo, Oasis, Buda Musique
Melingo sta probabilmente inventando una nuova tradizione del tango: se in passato si era dedicato anche al tango “classico”, questa volta immagina una specie di universo parallelo dove la periferia di Buenos Aires confina con il Pireo, e Borges incontra il rebetiko. Il tutto con una produzione acustico-elettronica strepitosa, che spazza via in un colpo di drum machine ogni cliché etno-world.
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3. Fratelli Mancuso, Manzamà, Squilibri
Certo, i due fratelli Enzo e Lorenzo non si inventano nulla, ma con quelle voci, i loro plettri, gli archi (anche Franco Battiato fra gli arrangiatori) e l’harmonium a mescolare il tutto riescono a suonare insieme antichi e contemporanei. Il Mediterraneo un po’ cliché di tante produzioni non lo si vede neanche in lontananza. Piuttosto, una ieratica classicità attraversa tutto Manzamà, primo disco in oltre dieci anni per i Mancuso: valeva la pena aspettare.
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4. Keleketla, Keleketla!, Ahead of our Time
Un progetto nato in una biblioteca indipendente di Soweto, un’organizzazione benefica, due pionieri dell’elettronica come i Coldcut, un pugno di musicisti da Regno Unito, Usa, Nigeria, Sudafrica e Papua. Poteva uscirne un pastone poco omogeneo, ne è uscito uno dei dischi più groovy dell’anno. Tra gli ospiti Shabaka Hutchings, Tamar Osborn, Antibalas, The Watts Prophets e nientemeno che Tony Allen e Dele Sosimi. Impossibile stare fermi.
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5. Evritiki Zygia, Ormenion, Teranga Beat
Inevitabile che continuino ad arrivare belle sorprese anche dagli angoli meno considerati del pianeta, dopo intense sovraesposizioni di mercato. La Tracia – oggi tra Grecia, Bulgaria e Turchia – molti se la ricordano dai libri di storia e per le corali femminili. Adesso mettiamoci anche questo strepitoso gruppo da festa che mette assieme tradizione acustica, prog e psichedelia con tastiere sui ritmi zoppi. Con una vitalità inarrestabile.
6. Kronos Quartet & Friends, Long Time Passing: Kronos Quartet and Friends Celebrate Pete Seeger, Smithsonian Folkways Recordings
Sì, è vero: un po’ il Kronos Quartet ci ha stufato per questa mania di rifare pop, folk, world… sempre gigioneggiando e sempre ammiccando all’ascoltatore e alla propria bravura. Però: quanto è delizioso questo omaggio al repertorio di Pete Seeger? Tra gli ospiti alle voci ci sono Sam Amidon, Maria Arnal, Brian Carpenter, Meklit, Lee Knight e Aoife O’Donovan. Da lacrime la versione di “Turn Turn Turn”, già nel repertorio dei Byrds.
7. Tony Allen & Hugh Masekela, Rejoice!, World Circuit
Alzi la mano chi, appassionato delle imperiose, commoventi note scaturite dall'Africa elettrica non ha avuto almeno la tentazione degli occhi lucidi, ascoltando questo disco. Il batterista signore dei poliritmi cresciuto alla nigeriana corte del “presidente” Fela Kuti e il trombettista sudafricano principe assieme: un sogno realizzato a Londra nel 2010, che salda diversi cerchi delle note afroamericane.
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8. Damir Imamovic, Singer of Tales, Wrasse
Tra gli interpreti che hanno traghettato la sevdah – genere di canzone tipico della Bosnia – nel nuovo millennio c’è senza dubbio Damir Imamovic, classe 1978, attivo a Sarajevo dai primi duemila con varie formazioni (ad esempio l’irresistibile Sevdah Takt). Qui il cantante e suonatore di tambur si accompagna a Derya Türkan al kemenche, Ivana Đurić al violino e a Greg Cohen al contrabbasso, per un supergruppo tutto acustico.
9. Songhoy Blues, Optimisme, Fat Possum Records
Approda al terzo disco il quartetto maliano attivo da dieci anni, espatriato a forza dal proprio Paese, a serio rischio di agguati da parte dei fondamentalisti. Profughi, ma la loro musica ha acquistato un quid in più di perentorietà, di coesione, di forza: desert blues che ricorda la stagione migliore del classico rock psichedelico, insomma, se le etichette possono spiegare qualcosa. E un senso di giubilante assertività che ribadisce le ragioni di fondo.
10. Cabit, Serenin, Felmay
Iain Chambers, diversi anni fa, usò la definizione “unità nella diversità” per definire le culture musicali del Mediterraneo. Calza a pennello per inquadrare questo viaggio che ha traghettato brani trad delle Quattro Province sulle sponde del Mar Nero, dove la Turchia è quasi Georgia, e brani per la danza e il canto anatolici all'ombra della Lanterna. Turchi e genovesi per secoli si sono frequentati: la storia continua, checché gli intolleranti vogliano farci credere.
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