Ogni anno l’etichetta world music si svuota di un pezzo ulteriore di significato, e ogni anno – al momento di fare il nostro best of – ci chiediamo se abbia senso mantenerla ancora in uso. Per il momento, tiriamone fuori il meglio: 10 dischi splendidi, usciti nel 2021, che raccontano la varietà delle musiche del mondo.
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1. A Sud di Bella Ciao, Visage
I capitoli secondi, i seguiti e via citando in genere vanno in genere poco oltre la soglia del “repetita iuvant”. Non succede, con la mirabile e affollata ciurma di musici navigati messi assieme da Riccardo Tesi. A ricostruire un credibile ma decisamente avvincente affresco di giochi di rimbalzo sulle tradizioni e le invenzioni in musica del nostro Meridione. Ripensando ai Cinquanta, Sessanta e Settanta, ma col cuore nell’oggi.
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2. Rodrigo Amarante, Drama, Polyvinyl
World music? Chi se ne importa, Drama di Rodrigo Amarante è un disco delizioso che, come i grandi dischi, migliora con gli ascolti. Tra il samba e gli Smiths, questo “tropicalista del XXI secolo” piacerà anche a chi, di norma, schifa la “musica brasiliana” (che, esattamente come world music, è etichetta che significa molto poco, vista la varietà del continente-Brasile).
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3. Khalab e M’berra Ensemble, M’berra, Real World
Contro gli stereotipi del tuareg-blues, Raffaele Costantino - aka DJ Khalab confeziona un disco in collaborazione con una all-star di musicisti sahariani, registrati nel campo di M’berra, in Mauritania. Elettronica scura, bassi e chitarre elettriche in una vera collaborazione alla pari.
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4. Baba Sissoko, Griot Jazz, Caligola
La pentatonica nordafricana è il motore nascosto di tanto jazz, in un percorso carsico che raggruma cinque secoli. Il jazz d’oggi, d’altra parte, è tornato a casa in Africa da tempo. Il griot maliano Baba Sissoko ne è esempio vivente e qui, con l’apporto decisivo del pianoforte di Jean-Philippe Rykiel e lo strumentario subsahariano lo dimostra nella pratica. Con ammaliante poesia diretta.
5. Mauro Palmas & Francesco Medda, Meigama, Meigama
La mandola di Mauro Palmas ha percorso vari sentieri “mediterranei”, sempre con grande originalità e, di fatto, inventando (o re-inventando) un suono “sardo” sullo strumento. Qui le corde di Palmas interagiscono con i soundscape – anch’essi “sardi” – di Francesco Medda, alias Arrogalla, venati di dub ed elettronica. Il risultato è particolarmente fresco e sfugge al già sentito: un buon modo di ancorare la musica al proprio territorio. Nota a margine: è un’esperienza da fare in cuffia; vi si riveleranno particolari nascosti.
6. Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp, We’re Ok But We’re Lost Anyway, Bongo Joe
World music? Avrete capito che non ci interessa più di tanto mettere dei paletti. L’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp (a proposito: che nome fantastico è?) nasce a Ginevra intorno al 2006, intorno al contrabbassista Vincent Bertholet. L’impostazione è jazz, e potrebbe ricordare per alcuni versi la linea – oggi molto proficua – lanciata ad esempio da Fire! Orchestra, anche nel dialogo costante con il post-rock (soprattutto nelle strutture estese e ripetitive). L’Orchestre Tout Puissant però, fedele all’ispirazione del proprio nome, vira verso l’Africa del golfo, avendo bene in mente il modello di Konono N.1.
7. Antonis Antoniou, Kkismettin, Ajabu!
Avevamo incontrato Antonis Antoniou come plettrista e voce del trio greco-cipriota Monsieur Doumani. A proposito: il loro album del 2021 per Glitterbeat, Pissourin, era pure tra i nostri preferiti (recuperatelo!). Al suo esordio solista, messo insieme durante il lockdown, Antoniou mette al centro il suo strumento (lo tsouras, taglio più piccolo del più noto bouzouki) costruendogli intorno un paesaggio di sintetizzatori ed elettronica. Disco urgente, grezzo, che piacerà molto ai nostalgici della psichedelia a base di corde doppie stile Baba Zula.
8. Alessia Tondo, Sita, Ipe Ipe
Forse il miglior esordio da solista nel contraddittorio e instabile panorama della world music nostrana, baricentro nel Salento pugliese. L’intelligenza sonora di Alessia Tondo, che ricordiamo anche con il Canzoniere Grecanico Salentino (pure autore quest’anno di un ottimo album), spazia qui però dal recupero di fili ancestrali della sua terra a eleganti, morbidi riferimenti all’universo crepuscolare di certo folk rock inglese.
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9. Omar Sosa, An East African Journey, Ota Records
Il pianista cubano Omar Sosa, pur visceralmente legato alla sua cultura musicale d'origine, peraltro presente nel jazz già dalle origini, è anche un musicista e intellettuale curioso del mondo. Vedi ad esempio le splendide avventure con Paolo Fresu. Qui si tirano le fila, invece, di incontri a tutto campo sul bordo orientale dell'Africa: dal Madagascar a salire, un universo sonoro ancora lontano dalle nostre orecchie.
10. Frank London, Ghetto Songs, Felmay
Frank London, una delle intelligenze più vive e mercuriali della “jewish renaissance” musicale popular (e non solo: vedi alla voce Klezmatics) di certo non lesina le uscite discografiche. Questa, però, in collaborazione con la Casa della cultura ebraica di Venezia è decisiva, perché il concetto base del titolo diventa globale e spiazzante: da Benedetto Marcello ai War.
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