Quasi si fossero dati appuntamento, i due figli di Fela Kuti attivi sul fronte musicale – Seun Kuti e Femi Kuti – hanno fatto uscire dischi pressoché in contemporanea.
Il maggiore, Femi, ora cinquantacinquenne, che debuttò all’ombra della figura paterna suonando negli Egypt 80, da oltre tre decenni agisce da solista, avendo pubblicato finora – questo incluso – sette album. Più giovane di 17 anni, Seun è invece il minore della numerosa progenie del profeta dell’afrobeat: anch’egli esordiente – addirittura bambino – al fianco del padre, alla sua morte – nel 1997 – ne prese il posto a capo della band “egizia”, schierata al suo servizio anche nel quarto lavoro edito a suo nome.
Inevitabile il confronto, insomma, non solo per l’ascendenza anagrafica e culturale: entrambi cantano e imbracciano il sassofono, come il babbo. La differenza d’attitudine è espressa in qualche modo già nei titoli: vagamente ecumenico l’uno (One People One World, “un popolo un mondo”), schierato l’altro (Black Times, “tempi neri”). E se in copertina Femi è ritratto in posa classica, con lo sguardo assorto, Seun viceversa – basco da Black Panther e sigaro castrista in bocca – ostenta fierezza razziale.
Lo stesso vale per la musica che offrono. One People One World ha aplomb classico, coniugando il verbo afrobeat con rigore filologico e garbo formale, tanto da rasentare l’esercizio di maniera. Ha i suoi momenti – nel brano dinamico e squillante che gli dà titolo, in “Dem Militarize Democracy” o nello spleen equatoriale di “Corruption Na Stealing” – senza riuscire tuttavia ad accendere emozioni.
Cosa che riesce a fare Black Times, sia perché dotato di superiore mordente – in “Kuku Kee Me”, sorretto da un groove incandescente, ad esempio – sia in virtù di un’audacia spiccata in termini stilistici, evidenziata dal coinvolgimento in produzione di Robert Glasper (coinvolto pure nel precedente A Long Way to the Beginning), che conferisce smalto “new jazz” a “Corporate Public Control Department” e “African Dreams”, per citare un paio di episodi significativi, e dal cammeo – in verità non brillantissimo – di Carlos Santana alla chitarra nella title track.
Infine, Seun si mostra più combattivo rispetto al fratello, tanto da definirsi nel pezzo d’apertura “ultimo rivoluzionario”, benché lo sfondo sociale sia il medesimo: la sofferenza della Nigeria, afflitta da cattiva politica, corruzione e terrorismo jihadista.
Femi Kuti
One People One World
Knitting Factory
Seun Kuti & Egypt 80
Black Times
Strut