Piero Farulli, morto nella sua casa in Mugello nella mattina del 3 settembre, si è sempre vantato di essere un testardo e indomabile Capricorno: era nato infatti a Firenze il 13 gennaio del 1920. Fino a pochi anni fa, fino a quando la malattia e l'avanzare dell'età non lo avrebbero reso insolitamente mite e mansueto com'era apparso nelle sue ultime apparizioni in pubblico, niente gli sarebbe calzato meno dell'espressione "vecchio signore della musica". La musica era la sua gioia ma anche la sua battaglia, la sua bandiera, la sua barricata, una trincea da cui sosteneva epiche battaglie, soprattutto per la sua creatura, la Scuola di Musica di Fiesole, alla ricerca di consensi, trionfi, risorse, relazioni importanti, senza mollare la presa, senza che nessuno o quasi se la sentisse di dirgli di no. Ce lo ricordiamo presiedere sorridendo, nel piccolo auditorium Sinopoli della Scuola affollato fino all'inverosimile da studenti e pubblico, un concerto indimenticabile in cui Viktoria Mullova e alcuni docenti della Scuola suonarono il Settimino di Beethoven e la Mullova a malapena riusciva a trovar spazio per tirare l'arco tanto i ragazzi di Fiesole le sedevano vicino, per terra, ma senza sognarsi di manifestare disagio o perplessità alcuna: Farulli, Fiesole è anche questo, questa informalità intorno ad un nocciolo di rigore. Ce lo ricordiamo anche mentre tuona a "Prima Pagina" di Radio3 contro la crescente disattenzione dei media generalisti all'informazione culturale, contro il disimpegno della politica su ciò che per lui contava davvero, contro l'assenza della musica nel curriculum scolastico italiano.
Nato da una famiglia proletaria fiorentina, avvicinatosi alla musica, come ricordava con gratitudine, grazie all'intuito e all'interessamento della sua madrina, a quindici anni Farulli si era iscritto al Conservatorio "Cherubini" di Firenze, e nel 1940 era entrato a far parte come violista dell'orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Poi, dopo le vicende della guerra e il rientro a Firenze, dal 1947 fu il violista del leggendario Quartetto Italiano, con Paolo Borciani ed Elisa Pegreffi violini e Franco Rossi violoncello, di cui ha fatto parte per quasi trent'anni. Fra i fondatori dell'Estate Fiesolana (1962), Farulli aveva insegnato viola e quartetto d'archi al Conservatorio "Cherubini" (ma anche, in seguito, al Mozarteum di Salisburgo e alla Scuola Superiore di Musica "Regina Sofia" di Madrid), da cui era uscito per dare vita alla Scuola di Musica di Fiesole nel 1974. Ma già dagli anni Sessanta, con il Comitato Nazionale Musica e Cultura, aveva cominciato ad intessere infaticabilmente la rete delle relazioni che poi avrebbe visto arrivare alla Torraccia di San Domenico, sede della Scuola, il Gotha musicale, culturale e istituzionale, docenti e ospiti, da Pollini a Abbado, da Muti a Cofferati, da Sinopoli a Cacciari, per non dire di quattro presidenti della Repubblica (non a caso il telegramma di cordoglio di Giorgio Napolitano è stato fra i primi a pervenire). Relazioni, riflessioni sul rapporto fra musica, arte (non si dimentichi il lungo e fruttuoso dialogo col fratello pittore, Fernando) e società, soprattutto su come e perché si deve insegnare la musica. Il progetto della Scuola di Musica di Fiesole aveva alla sua base la convinzione etica e artistica di Farulli che "chi ha la ricchezza della musica deve restituirla agli altri, sempre".
Oggi abbiamo due Farulli da ricordare: il violista del mitico Quartetto Italiano e il padre della Scuola di Musica di Fiesole. Sono, di fatto, una cosa sola. Ma, a un certo punto entrarono in conflitto. «La vita del quartetto è affascinante, ma non mi ha mai reso felice fino in fondo», mi disse nel corso di un'intervista per i suoi ottant'anni. Quei risultati (da Mozart a Schubert a Verdi a Ravel, ma soprattutto quel Beethoven lucido e moderno ma percorso da un indicibile furore poetico, che poi è diventato un vangelo per i quartettisti delle generazioni successive) erano infatti il frutto di sessioni di studio non di rado tempestose, anche se in concerto o in sala d'incisione i conflitti venivano annientati e travolti nella compattezza e nell'eccellenza del risultato: «Per me, e credo anche per Franco Rossi, quello che contava di più era la volontà espressiva, quando la musica trova il suo coraggio e il suo sangue». Certamente gli altri membri del Quartetto Italiano, in particolare Paolo Borciani se fosse ancora con noi, racconterebbero quella vicenda, che fu traumatica, in un altro modo, del resto sono noti i conflitti che segnano l'esistenza di tanti grandi quartetti. Ma sta di fatto che negli anni Settanta Farulli si getta, anima e corpo, con il fondamentale aiuto e sostegno di Adriana Verchiani, nella nuova avventura della Scuola di Musica di Fiesole, insediata all'inizio in due stanzette concesse dall'amministrazione comunale, poi allargatasi fino a trovare casa nella bella Villa La Torraccia di S. Domenico. La nascita della Scuola segna anche il tempestoso distacco di Farulli dal Quartetto Italiano. Avrebbe poi ricostituito un quartetto proprio con Carlo Chiarappa, Andrea Tacchi e Andrea Nannoni, mentre il suo posto nel Quartetto Italiano sarebbe stato preso da Dino Asciolla fino allo scioglimento della formazione all'inizio degli Anni Ottanta.
Ma, come abbiamo detto, il quartettista e il didatta innovatore erano, a guardare più da vicino, una cosa sola. Il suonare insieme, il cercare insieme il senso della musica, insomma l'esperienza del quartetto, significava per Farulli ripulirsi da quel solismo, "virtuosismo da strapazzo" (sono parole sue) e fine a se stesso che fino a qualche decennio fa costituiva la norma, pur con tante felici e luminose eccezioni, nell'insegnamento dei Conservatori, cioè nel modello didattico che Farulli ha inteso criticare e superare fondando la Scuola di Musica di Fiesole.
Noi docenti dei Conservatori italiani ci siamo sentiti chiamati in causa più volte, più volte messi sotto accusa, da Farulli. Ma se nei casi migliori abbiamo visto anche in Conservatorio la propedeutica per i piccoli e i piccolissimi, il moltiplicarsi delle attività di musica d'insieme, l'attenzione alla didattica, l'innovazione nella didattica, la creazione faticosa di una nuova gerarchia di valori musicali basata sul suonare insieme, su declinazioni anche nuove e variegate dello spirito della musica da camera, il merito è certamente in gran parte anche di quel potente stimolo didattico che si muoveva dall'esperienza fiesolana e che sembrava tener conto di un ventaglio di bisogni musicali e di presenza della musica nelle articolazioni sociali più diverse, a partire da un concetto di musica come componente fondamentale di formazione e di crescita. Piccolissimi e anziani, giovani sulla via della professione e dilettanti, tutti trovavano e in gran parte ancora trovano a Fiesole la propria dimensione nella chiave musicale del far musica insieme, vivere la musica insieme: corsi di base e di perfezionamento, fino al vertice dell'Accademia del Quartetto in cui sono cresciute e crescono tante giovani formazioni europee, orchestre, ragazzini, ragazzi dei corsi avanzati, naturalmente l'Orchestra Giovanile Italiana che ha qui la sua sede, un ensemble barocco, cori e gruppi di ogni tipo, compresi quelli dei piccolissimi strumentisti ad arco quattrenni e cinquenni e i gruppi dedicati alle attività musicale degli amateurs. La diminuzione delle risorse destinate alla cultura e alla musica ha imposto negli anni alcune scelte anche dolorose. Certo è difficilissimo e forse lo sarà sempre di più tenere insieme le due facce della Scuola, l'istituzione altamente professionalizzante (corsi di perfezionamento, Orchestra Giovanile, Accademia del Quartetto) e la scuola aperta a tutti. Ma nel suo complesso si può dire che il modello tiene anche perché Farulli e i suoi collaboratori sono riusciti a trovare dei degni eredi come l'attuale direttore Andrea Lucchesini.
La musica, insomma, "a ciascuno secondo i suoi bisogni", visto che Farulli era un comunista, a quel che ci risulta, non pentito. Nello suo studio alla Torraccia c'era uno striscione rosso con su scritto Sindacato Pensionati Italiani che gli aveva regalato Cofferati, e questo ci fa pensare ad una delle iniziative della Scuola a cui Farulli aveva tenuto di più nei suoi ultimi anni da direttore della Scuola, i corsi di guida all'ascolto di Riccardo Luciani, molto frequentati da amatori della terza età. «Un pubblico di anziani come me - ci disse Farulli - perché è bene che una persona che ha amato la musica e la vita abbia Schubert e Beethoven con sé, alla fine, così si piange insieme, oppure si gioisce insieme, come in certi finali di Mozart e Beethoven: fanculo tutto!».
Nato da una famiglia proletaria fiorentina, avvicinatosi alla musica, come ricordava con gratitudine, grazie all'intuito e all'interessamento della sua madrina, a quindici anni Farulli si era iscritto al Conservatorio "Cherubini" di Firenze, e nel 1940 era entrato a far parte come violista dell'orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Poi, dopo le vicende della guerra e il rientro a Firenze, dal 1947 fu il violista del leggendario Quartetto Italiano, con Paolo Borciani ed Elisa Pegreffi violini e Franco Rossi violoncello, di cui ha fatto parte per quasi trent'anni. Fra i fondatori dell'Estate Fiesolana (1962), Farulli aveva insegnato viola e quartetto d'archi al Conservatorio "Cherubini" (ma anche, in seguito, al Mozarteum di Salisburgo e alla Scuola Superiore di Musica "Regina Sofia" di Madrid), da cui era uscito per dare vita alla Scuola di Musica di Fiesole nel 1974. Ma già dagli anni Sessanta, con il Comitato Nazionale Musica e Cultura, aveva cominciato ad intessere infaticabilmente la rete delle relazioni che poi avrebbe visto arrivare alla Torraccia di San Domenico, sede della Scuola, il Gotha musicale, culturale e istituzionale, docenti e ospiti, da Pollini a Abbado, da Muti a Cofferati, da Sinopoli a Cacciari, per non dire di quattro presidenti della Repubblica (non a caso il telegramma di cordoglio di Giorgio Napolitano è stato fra i primi a pervenire). Relazioni, riflessioni sul rapporto fra musica, arte (non si dimentichi il lungo e fruttuoso dialogo col fratello pittore, Fernando) e società, soprattutto su come e perché si deve insegnare la musica. Il progetto della Scuola di Musica di Fiesole aveva alla sua base la convinzione etica e artistica di Farulli che "chi ha la ricchezza della musica deve restituirla agli altri, sempre".
Oggi abbiamo due Farulli da ricordare: il violista del mitico Quartetto Italiano e il padre della Scuola di Musica di Fiesole. Sono, di fatto, una cosa sola. Ma, a un certo punto entrarono in conflitto. «La vita del quartetto è affascinante, ma non mi ha mai reso felice fino in fondo», mi disse nel corso di un'intervista per i suoi ottant'anni. Quei risultati (da Mozart a Schubert a Verdi a Ravel, ma soprattutto quel Beethoven lucido e moderno ma percorso da un indicibile furore poetico, che poi è diventato un vangelo per i quartettisti delle generazioni successive) erano infatti il frutto di sessioni di studio non di rado tempestose, anche se in concerto o in sala d'incisione i conflitti venivano annientati e travolti nella compattezza e nell'eccellenza del risultato: «Per me, e credo anche per Franco Rossi, quello che contava di più era la volontà espressiva, quando la musica trova il suo coraggio e il suo sangue». Certamente gli altri membri del Quartetto Italiano, in particolare Paolo Borciani se fosse ancora con noi, racconterebbero quella vicenda, che fu traumatica, in un altro modo, del resto sono noti i conflitti che segnano l'esistenza di tanti grandi quartetti. Ma sta di fatto che negli anni Settanta Farulli si getta, anima e corpo, con il fondamentale aiuto e sostegno di Adriana Verchiani, nella nuova avventura della Scuola di Musica di Fiesole, insediata all'inizio in due stanzette concesse dall'amministrazione comunale, poi allargatasi fino a trovare casa nella bella Villa La Torraccia di S. Domenico. La nascita della Scuola segna anche il tempestoso distacco di Farulli dal Quartetto Italiano. Avrebbe poi ricostituito un quartetto proprio con Carlo Chiarappa, Andrea Tacchi e Andrea Nannoni, mentre il suo posto nel Quartetto Italiano sarebbe stato preso da Dino Asciolla fino allo scioglimento della formazione all'inizio degli Anni Ottanta.
Ma, come abbiamo detto, il quartettista e il didatta innovatore erano, a guardare più da vicino, una cosa sola. Il suonare insieme, il cercare insieme il senso della musica, insomma l'esperienza del quartetto, significava per Farulli ripulirsi da quel solismo, "virtuosismo da strapazzo" (sono parole sue) e fine a se stesso che fino a qualche decennio fa costituiva la norma, pur con tante felici e luminose eccezioni, nell'insegnamento dei Conservatori, cioè nel modello didattico che Farulli ha inteso criticare e superare fondando la Scuola di Musica di Fiesole.
Noi docenti dei Conservatori italiani ci siamo sentiti chiamati in causa più volte, più volte messi sotto accusa, da Farulli. Ma se nei casi migliori abbiamo visto anche in Conservatorio la propedeutica per i piccoli e i piccolissimi, il moltiplicarsi delle attività di musica d'insieme, l'attenzione alla didattica, l'innovazione nella didattica, la creazione faticosa di una nuova gerarchia di valori musicali basata sul suonare insieme, su declinazioni anche nuove e variegate dello spirito della musica da camera, il merito è certamente in gran parte anche di quel potente stimolo didattico che si muoveva dall'esperienza fiesolana e che sembrava tener conto di un ventaglio di bisogni musicali e di presenza della musica nelle articolazioni sociali più diverse, a partire da un concetto di musica come componente fondamentale di formazione e di crescita. Piccolissimi e anziani, giovani sulla via della professione e dilettanti, tutti trovavano e in gran parte ancora trovano a Fiesole la propria dimensione nella chiave musicale del far musica insieme, vivere la musica insieme: corsi di base e di perfezionamento, fino al vertice dell'Accademia del Quartetto in cui sono cresciute e crescono tante giovani formazioni europee, orchestre, ragazzini, ragazzi dei corsi avanzati, naturalmente l'Orchestra Giovanile Italiana che ha qui la sua sede, un ensemble barocco, cori e gruppi di ogni tipo, compresi quelli dei piccolissimi strumentisti ad arco quattrenni e cinquenni e i gruppi dedicati alle attività musicale degli amateurs. La diminuzione delle risorse destinate alla cultura e alla musica ha imposto negli anni alcune scelte anche dolorose. Certo è difficilissimo e forse lo sarà sempre di più tenere insieme le due facce della Scuola, l'istituzione altamente professionalizzante (corsi di perfezionamento, Orchestra Giovanile, Accademia del Quartetto) e la scuola aperta a tutti. Ma nel suo complesso si può dire che il modello tiene anche perché Farulli e i suoi collaboratori sono riusciti a trovare dei degni eredi come l'attuale direttore Andrea Lucchesini.
La musica, insomma, "a ciascuno secondo i suoi bisogni", visto che Farulli era un comunista, a quel che ci risulta, non pentito. Nello suo studio alla Torraccia c'era uno striscione rosso con su scritto Sindacato Pensionati Italiani che gli aveva regalato Cofferati, e questo ci fa pensare ad una delle iniziative della Scuola a cui Farulli aveva tenuto di più nei suoi ultimi anni da direttore della Scuola, i corsi di guida all'ascolto di Riccardo Luciani, molto frequentati da amatori della terza età. «Un pubblico di anziani come me - ci disse Farulli - perché è bene che una persona che ha amato la musica e la vita abbia Schubert e Beethoven con sé, alla fine, così si piange insieme, oppure si gioisce insieme, come in certi finali di Mozart e Beethoven: fanculo tutto!».