Mbongwana Star
From Kinshasa
World Circuit
In lingala, l'idioma più diffuso - francese dei colonialisti a parte - nella capitale della Repubblica Democratica del Congo, il vocabolo mbongwana significa "cambiamento". E a ciò allude inequivocabilmente il contenuto del primo album realizzato dal gruppo di Coco Ngambali e Theo Nsituvuidi, reduci dalla diaspora che li ha allontanati dagli Staff Benda Bilili (band di artisti di strada paraplegici affermatasi nel decennio scorso grazie sia alla qualità della musica sia all'entità drammaturgica della vicenda, testimoniata dal documentario Benda Bilili!). Rispetto a quell'esperienza e ad altre analoghe localizzate in zona, dai capostipiti Konono No. 1 all'esperimento di meticciato culturale chiamato Congotronics, From Kinshasa sposta l'orizzonte molto più avanti, offrendo una visione niente affatto "folcloristica" dell'Africa contemporanea. Da un punto di vista sonoro, infatti, è evidente l'influsso di codici "occidentali", ancorché di estrazione afroamericana: hip hop, reggae in formato dub o addirittura techno. Al tempo stesso, lo scenario evocato dalle immagini - che si tratti di video o foto - dipinge un ritratto avveniristico del continente, come una versione di Blade Runner ambientata a Kinshasa. Fatto sta che l'effetto è impressionante. Col suo incedere contagioso, "Kala" ostenta sembianze da punk digitale, mentre l'esordio di chitarra elettrica con wah wah di "Kimpala Pala" proietta intorno a sé psichedeliche ombre rock e in "Malukayi" le vibrazioni metalliche dei likembé - complici gli ospiti Konono No. 1 - si sommano a un ipnotico loop elettronico, generando musiche finora inaudite (merito anche del lavoro svolto dal produttore Doctor L., al secolo Liam Farrell: irlandese cresciuto in Francia, già batterista di Taxi Girl e Les Rita Mitsouko). Non per questo va smarrita l'"africanità", apodittica nel soukous 2.0 di "Shégué" o nello spleen da bidonville di "Coco Blues". In due parole: un disco eccezionale, fra i migliori usciti ultimamente sul pianeta Terra.