Addio a Luchetti

La scomparsa del tenore

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Il nome di Veriano Luchetti (1939-2012) rischia di suonare sconosciuto al melomane del secolo XXI: la scarsa discografia ufficiale relega inevitabilmente alla memoria diretta il ricordo di questo artista. Ma per chi ha vissuto in prima persona le stagioni dei teatri italiani negli anni '70 e '80 del secolo passato non può che conservare un dolce e grato ricordo di quel tenore lirico dalla voce facile e limpida (sebbene non bellissima), dalla dizione chiara e scolpita, il fraseggio spontaneo (benché spesso monocorde) e una perfetta uniformità timbrica in tutta la gamma vocale. La bonarietà e umiltà della persona lo rendevano poi particolarmente simpatico al pubblico più assiduo, che girando fra un teatro e l'altro, dalla Scala all'Arena, se lo trovava in cartellone una volta su tre negli spettacoli più allettanti, ben spesso in compagnia della moglie, il soprano lirico Mietta Sighele, collega di tante "Bohème", "Butterfly" e "Carmen" (una volta con Marilyn Horne, allo Sferisterio di Macerata, nel ferragosto 1982), altrimenti onnipresente fra le quinte a sostenerlo moralmente. Per i vari teatri che gli davano credito, Veriano Luchetti rappresentava insomma una sicurezza, a dispetto di certe lievi incertezze in zona acuta che non lo abbandonarono mai. Fondamentale la collaborazione con il giovane Muti a Firenze, che lo chiamò a sostenere opere fra le più ardue e desuete, come l'"Africana" di Meyerbeer (1971), suo trampolino di lancio, l'"Agnese" di Spontini (1974) e soprattutto i memorabili "Vespri" verdiani (1978), quelli rimandati per il concomitante ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Non meno importanti le collaborazioni milanesi con Abbado, nelle tante repliche dei celebrati "Macbeth" e "Simon Boccanegra". Ancorché più limitata, non meno significativa è stata la sua carriera all'estero: Vienna, Parigi, Londra, New York, e varie tournée con la Scala. Ma allorché veniva il momento di andare in sala d'incisione, toccava sempre a qualcun altro: le majors erano infatti all'epoca spartite fra Domingo, Pavarotti e Carreras. Quando nel 1977 apparve la prima registrazione importante di Luchetti, nella pur piccola parte di Ismaele ("Nabucco"), il supercilioso Rodolfo Celletti ne tessé il peana. La doppia registrazione discografica del "Requiem" verdiano (con Muti e con Solti) rappresenta di fatto l'unica reale corrispondenza con quanto avveniva in sede concertistica, dove per oltre un decennio Luchetti fu il tenore di riferimento in decine di esecuzioni di quella partitura. Un artista, per concludere, da ricordare con affetto e stima, portavoce di quella seria professionalità scevra di divismo oggi fattasi alquanto rara.

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Articolo in collaborazione con Fondazione Busoni

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