Tancredi senza lieto fine
La stagione del Regio di Torino prosegue con un efficace nuovo allestimento di Kokkos
Recensione
classica
Per il secondo titolo in cartellone il Regio sceglie il “Tancredi” di Rossini con il finale a esito tragico che il compositore scrisse a pochi mesi dal debutto, abbandonandolo peraltro subito dopo. Quasi a confermare il carattere di laboratorio musicale che è proprio di questa, come delle altre opere serie del giovane Rossini, e che ne fa una palestra di belcanto amatissima dai cantanti e dal pubblico.
Certo dalla tragedia di Voltaire “Tancrède” che, dopo la prima rappresentazione avvenuta nel 1759, rimase in repertorio alla Comédie Française per quasi cent'anni, durante i quali fu messa in scena circa quattrocento volte, il compositore e il librettista Gaetano Rossi traggono un dramma leggero leggero, diciamo pure inconsistente. La regia di Kokkos lo legge in chiave minimale, realizzando uno spettacolo impegnativo per l’uso a fondo delle risorse sceniche del teatro ma che fila via trasparente, tra palazzi e palme ritagliati nel cartoncino e bianca luce mediterranea ad avvolgere gli eleganti movimenti coreografici realizzati da Marco Berriel.
Un cast notevole, molto equilibrato vocalmente, fa il resto. Magistrali le due protagoniste, Patrizia Ciofi in pieno possesso del ruolo malgrado l’indisposizione che l’ha colpita nel pomeriggio, e Daniela Barcellona – voce bella e possente, duttile e morbida nell’emissione. Acoltarle insieme, ad esempio nel duetto “L’aura che intorno spiri”, è una delizia. Nei panni di Argirio, Antonino Siracusa sfoggia le sue notevoli doti vocali; l’Orbazzano di Simone Dal Savio è misurato, intelligente, perfetto come contraltare e ancoraggio al basso del quartetto vocale. Kristian Jarvi in buca provvede a un’orchestrazione asciutta e sempre a favore di cantanti, più efficace nel primo atto e meno nel secondo, afflitto da una certa scomposta dilatazione nei tempi e nella concentrazione.
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