Un'estetica poliglotta
“When Life’s Doors Open” di Nicole Mitchell al Teatro Manzoni di Milano
Recensione
jazz
L’avanguardia di Chicago parte storicamente, intorno alla metà degli anni Sessanta, in continuità e in chiave post moderna (rimescolando, polverizzando i linguaggi), da quella sorta di “tela bianca”, alla quale erano approdate le radicali e destruenti “derive” free newyorkesi. Una tela bianca da quel momento ripopolata con “leggerezza” di una nuova attenzione per le forme jazzistiche del passato, di una sempre più colta riscoperta delle radici africane, di un’apertura verso le musiche del mondo, e di una spiccata sensibilità progressiva.
L’afroamericana Nicole Mitchell, virtuosa del flauto traverso, compositrice, improvvisatrice, attuale fondamentale esponente di questa nobile e ancora vitale scuola, rappresenta sempre al meglio questo approccio. Al Teatro Manzoni si è esibita in prima europea alla guida di un eccezionale, assortito, ensemble, per presentare “When Life's Doors Open”, un nuovo progetto, composto di sue liriche e composizioni, sorta di riflessione estatica sui crocevia esistenziali, e inno entusiasta alla vita e al responsabile discernimento. Hanno interagito in armonia con la sua sapiente guida, il suo garbo e la sua classe, la voce soave e stregante, da moderna Sherazade, di Kiran Ahluwalia, microtonale cantante canadese di origini indiane; le tribali, ancestrali e innovative live elettronics della haitiana Val Jeanty; il funambolico chitarrismo cromatico di Martin Sewell; i vocalismi arditi, gutturali, della vocalist Fay Victor; l’intenso speech della poetessa Jamika Ajalon; le diafane improvvisazioni di Vincent Chancey al corno francese; l’esorbitante talento di Kennetth S. Filiano al contrabbasso; e il roboante tambureggiare di Tomas Fujiwara alla batteria. Tra improvvisazione, teatro e scrittura, per un’estetica “poliglotta” continuamente in fieri.
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