«Una carta geografica senza progetto»: Lula Pena al FolkClub

Al FolkClub di Torino lungo le rotte di Lula Pena, in uno stream of consciousness di chitarra e voce

Lula Pena FolkClub
Foto di Massimo Forchino
Recensione
world
FolkClub, Torino
Lula Pena
07 Febbraio 2020

Ho ripercorso, cercando tra le vecchie cose che ho scritto, il mio rapporto con Lula Pena – che tra le date della stagione 2020 del FolkClub di Torino era, per quanto mi riguarda, quella imperdibile. L’avevo scoperta nel 2014 a Babel Med, rimanendo spiazzato da quella strana donna e dalla sua chitarra acustica, quasi fuori contesto in quell’ambiente da fiera rumorosa e caciarona. L’avevo poi rivista al Tenco nel 2016, in preparazione del disco Archivo Pittoresco – un gioiello, che l’anno dopo (per quel che vale) avremmo inserito al primo posto tra i nostri dischi dell’anno

Nel recensirlo avevo parlato di qualcosa che «non assomiglia per nulla a un LP come ce lo si aspetta. È piuttosto uno stream of consciousness per chitarra e voce, estraneo a qualunque regola e a qualunque parametro (anche della world music)».

La corrente di Lula Pena

Ed è quello che Lula Pena fa anche dal vivo, in una forma che è tanto rodata e controllata quanto aperta e suscettibile all’ispirazione del momento. Tutto parte dalle chitarra, suonata perlopiù accarezzandola al ponte con la base del palmo, e percuotendone la cassa con le dita, cavandone un suono come tridimensionale, carico di armoniche. Un pugno di canzoni ricorrenti («No potho reposare», i materiali di Archivo Pittoresco...) vengono cucite insieme senza soluzione di continuità in un itinerario – una «carta geografica senza progetto predefinito», la definisce Lula Pena – fatto di frammenti e di inevitabili rischi.

Due set, come sempre al FolkClub, che sono due concerti distinti, con il secondo che tocca il suo vertice in una versione di «La strada nel bosco» portata in odore di fado. Che, contrariamente a quello che si pensa (sostanzialmente, perché è portoghese) poco o nulla c’entra con quello che fa Lula Pena. In effetti, se una costante si deve trovare nel suo repertorio (e nulla importa, vista la forma con cui viene cucito il tutto, se si tratti di materiali originali o di “cover”) è quello della ricerca di un senso melodico antico, che attraversa e sublima in sé i diversi generi e le diverse lingue europee: portoghese, spagnolo, greco, italiano, inglese, sardo… tutto si tiene e si fonde, lungo il filo del pittoresco archivio di ritmi e idee musicali di Lula Pena.

Un concerto speciale, da serbare nel cuore per gli anni a venire.

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