Un arcipelago di suoni
I Tamburi di Okinawa all'Auditorium di Roma
Recensione
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L’arcipelago delle Ryûkyû, che oltre alla più nota Okinawa comprende molte altre isole e si estende tra il Giappone meridionale e Taiwan, possiede una propria tradizione di danze e canti assai ricca e tuttora vitale, che in tempi recenti ha ispirato anche gruppi rock e pop locali e giapponesi. Il gruppo Ryujin, fondato nel 2001 da Suzuki Kazuyuki e formato inoltre da Kamekawa Kazuya, Oshiro Tatsuya, Sugimura Yuko e Shiotsu Eisuke, nel concerto del 3 novembre all’Auditorium di Roma ha presentato con brio e efficacia una selezione significativa del repertorio tradizionale di Okinawa. Danze di corte e danze col ventaglio si sono susseguite a danze popolari come l’eisa, eseguita specialmente in occasione della grande festa dell’Obon, e alla shishimai, in cui due danzatori mascherati simulano abilmente le movenze di un leone. L’accompagnamento musicale è stato affidato agli shimedaiko, tamburi di piccole dimensioni e dal suono acuto, e al sanshin, liuto a tre corde con la cassa ricoperta di pelle serpente, lo strumento più rappresentativo di Okinawa, arrivato dalla Cina e modificato localmente, che ha dato poi origine allo shamisen giapponese. L’esibizione di Ryujin si è alternata con l’esecuzione, affidata ad Antonino Errera, di due brani per marimba bassa, “Memories of the Seashore” e “Michi”, della compositrice contemporanea Keiko Abe, percussionista e figura chiave nell’evoluzione della marimba. I due brani, molto evocativi, sono stati accompagnati dalla proiezione di due video realizzati da Yosuke Taki, “Beautiful Beasts coming from the Ocean” e “Tokyo Milky Way”, una scelta adeguata all’originalità delle musiche di Keiko. Nel complesso, un mix accattivante e suggestivo, malgrado la poca omogeneità fra la parte tradizionale e quella moderna dello spettacolo.
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