Un arcano cartesiano
Torna sulla scena del jazz Henry Threadgill, con una musica singolare e problematica
Recensione
jazz
Scomparso dalla scena discografica, di raro ascolto dal vivo, Henry Threadgill è tornato in Italia per alcune date, tra cui questa al Mart di Rovereto, come fosse un’epifania, in un’atmosfera di culto. Ora il gruppo Zooid è ancora più essenziale, la sonorità inconfondibile, chitarra e chitarra basso acustici ma con un tocco di elettricità, e il solito basso tuba. I pezzi, su ritmi funky a varie velocità, a tratti espongono “temi” che si riducono a pochi intervalli astratti, privi di caratterizzazione psicologica, basati tutti su chorus brevi e sghembi, dalle armonie enigmatiche e malinconiche, spesso indecifrabili. Su questa griglia sempre uguale, che rende i pezzi quasi intercambiabili, prende vita una polifonia brulicante e dispersa: nel galleggiare danzante di detriti motivici sempre in contrappunto si intravede in filigrana una piramide sonora strutturata. Non somiglia a nessuna altra musica questa dell’ultimo Threadgill, eppure è vicinissima al primo jazz, alla polifonia di King Oliver e Freddie Keppard: pensiero lineare anziché armonico, ruoli prestabiliti, margini di variazione, l’assieme prevalente sul solismo. Le personalità dei singoli non sono decisive, anche se Stomu Takeishi e Liberty Ellman hanno una marcia in più, e Kavee alla batteria appare il più debole.
A questa geometria vitale e frantumata Threadgill contribuisce ora al flauto, sempre denso e incisivo, ora al sax alto, ormai suonato per frasi smozzicate, taglienti, senza logica, con pause lunghissime, che però alzano la temperatura emotiva. Viene il sospetto che questa musica misteriosa e affascinante sia il frutto di un’involuzione, senza la varietà timbrica e l’articolazione narrativa che aveva in passato. Questione di punti di vista, che non ne mette in discussione l’irriducibile originalità.
Stefano Zenni
Interpreti: Henry Threadgill: sax alto, flauto; Liberty Ellman: chitarra; Stomu Takeishi: chitarra basso acustica; Jose Davila: tuba, trombone; Elliot Kavee: batteria.
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