Tutti si inchinano alla kora
Victor Démé rapisce gli spettatori del Rialto S. Ambrogio a Roma
Recensione
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Un concerto di grande freschezza quello di Victor Démé tenutosi a Roma il primo novembre al Rialto S. Ambrogio. Sala piena e temperatura equatoriale. Dopo un introduzione dei fratelli Salif e Ali Diarra (kora e balafon) entra lui, col suo sorriso ammiccante ed affettuoso. Al suo fianco le chitarre di Issouf Diabaté: chitarre che ritornano a casa (con tutta l'America che hanno imparato). Ad attenderli sempre la kora, l'arpa arcaica alla quale tutti i liuti del blues tradizionale si inchinano regolarmente. Meno blues del previsto e atmosfere alle quali già Johnny Clegg and Savuka strizzavano l'occhio vent'anni fa. All'interno non mancano neppure passaggi dal vago sapore gitano: musica fatta di melodie semplici quanto efficaci e piene di sole. Sullo sfondo scorrono le immagini di un documentario sul Burkina Faso e il concerto diventa viaggio. Nessuno balla: lo spazio non lo permette, ma il ritmo non manca certo, incalzando e coinvolgendo. Un amico batterista nota tutta la pesantezza dell'Occidente davanti alla semplicità della strumentazione del percussionista: una zucca amplificata suonata con pugno e bacchette. Musicisti che non si risparmiano e che dopo il concerto concedono (in estemporanea) nella stanza accanto un altro assaggio di cosa siano la festa e la danza fabriqué en Afrique.
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