Tutti i colori di Iyer

Il pianista seduce in solo, a Firenze

Recensione
jazz
Musicus Concentus Firenze
11 Novembre 2011
Va avanti e indietro, tra una porta e l’altra della Sala Vanni, a intervalli regolari. Lo Steinway lo aspetta, padrone devoto, su un palchetto, a quasi un metro da terra. Vijay Iyer arriva schivo, sornione. Si incastra nello strumento, e ne diventa appendice. Abbozza delle note, leggero, misurato, quasi riflettesse e prendesse appunti sul pensiero che seguirà. Generoso. "Solo" (Act, 2010) è il suo lavoro da solista, un album che ascolta, rilegge e sfida, dagli standard più celebrati di Ellington e Monk al pop americano più audace di Michael Jackson. A raccoglierne il saggio c’è il pubblico fiorentino del Musicus Concentus, entusiasta e ispirato da una luna complice. Iyer corre. Le disarticolazione delle sue dita impressiona. Un controllo muscolare totale e una voce duttilissima che domina un’intera tavolozza dinamica. Il suo approccio è timido e discreto, ma sa sedurre. Spunti esotici, contaminazioni colte alla Debussy, residui pop e ingombranti presenze pentatoniche. Poliritmia severa e nevrosi dei bassi. La mano destra intanto crea, moltiplica, lamina e frammenta una materia mai così malleabile. Iyer è plastico. La sua è un’ansia distorsiva strabordante, una macchina divoratrice che raccoglie e macina. L’amalgama è uniforme, compatto. La forma razionalmente definita. Procede per addizioni e sottrazioni, un gomitolo di fil di ferro e cotone che si srotola, in un tempo controllato. Impressionista e visionario nei pedali, Iyer nebulizza e sfuma ogni istantanea. Il suo microcosmo emozionale diventa spazio condiviso, un’epifania di colore tutta da godere.

Interpreti: Vijay Iyer

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