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Porto Franco a Maison Musique sotto il diluvio dei tagli

Recensione
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La prima scena fa sorridere: un metro davanti a me sta suonando la Banda di Condove, stretta sul parterre fra il pubblico e il palco. Una donna magra suona una grancassa grossa il doppio di lei, con attaccata alla gamba una bambina bionda che - impassibile – rifiuta di staccarsi, a rischio di prendersi la mazzuola in faccia. È una scena addirittura troppo perfetta, da sembrare quasi studiata, e potrebbe rappresentare le altre 140 storie degli altrettanti musicisti di Porto Franco, l’omaggio che Maison Musique tributa al suo fondatore Franco Lucà: amatori e professionisti insieme, famiglie, ragazzini, anziani.
Sarà una serata da ricordare. In tempi di disunità d’Italia, la serata si apre ufficialmente con il gemellaggio fra la banda di Condove e la banda di Avola, sotto il personalissimo patrocinio di Fabio Barovero, che con entrambe le formazioni ha collaborato e collabora.
La Banda di Avola porta a Maison il suo fresco lavoro con Mirco Menna, …e l’italiano ride, splendido esperimento di canzone d’autore “bandistica”. La sorpresa – dopo averli ascoltati su disco – è vederli: sono quasi tutti ragazzini, si divertono come dei matti e suonano terribilmente bene, con una poderosa sezione ritmica e tube e tromboni a tenere sempre altissimo il livello di “tiro”. Sebastiano Bell’Arte, maestro e direttore, dopo il concerto ci confessa – come se fosse un segreto: «non ho mai guadagnato una lira con la banda». Però lo fa dal ’96, e la sua storia si intreccia con quelle di ragazzi con problemi che hanno trovato nella banda una valvola di sfogo, o semplicemente ragazzi che forse mai avrebbero preso in mano uno strumento, e ora suonano, è il caso di dirlo, come dei professionisti. Sono venuti in bus, e ripartono il mattino per una seconda data nel bolognese.
Poi c’è l’orchestra Trad Alp, che è un’altra e più grande sorpresa: orchestra di strumenti popolari con alcuni dei migliori suonatori dell’area (Silvio Peron, la famiglia Boniface, Simone Bottasso per citare solo la sezioni mantici), propone orchestrazioni di brani tradizionali di Piemonte e Valle d’Aosta. Gli arrangiamenti (del Maestro Christian Thoma) sono raffinatissimi e l’orchestrazione – necessariamente “inventata”, in un ensemble di strumenti che tradizionalmente non suonano insieme – è una cascata di buone idee. Bello, anche perché spesso “popolare” diventa “caciarone” nelle grandi formazioni…
C’è poi il nucleo di un costituendo “Ensemble organetti”: Raffaele Pinelli, Vincent e Rémi Boniface e Simone Bottasso (e manca il quinto: Filippo Gambetta). La nuova generazione dell’organetto italiano - sono i migliori, tutti fra i venti e i trent’anni – tenta una “rifondazione” dello strumento, mischiando tecniche, tradizioni, timbri e costruttori diversi. Il progetto debutterà il 24 ottobre prossimo al PalaIsozaki di Torino per Terra Madre, e si sviluppa grazie a Maison Musique, che ospita la residenza dei musicisti.
E poi ancora i percussionisti dell’Orchestraniké, la Fanfara delle Valli di Lanzo, e la chiusura con l’Orchestra di Porta Palazzo, gruppo eponimo del grande centro multiculturale di Torino. Si continua anche dopo, fuori tempo massimo, con bal folk improvvisato ad oltranza. Raffaele Pinelli, che è di Formia, suona felice gridando «Sono diventato occitano!». Davide Valfré, che Maison Musique la gestisce (insieme a Paolo Lucà), mi spiega che ci vorrà il fucile per fermarli.

Una serata di buone idee e entusiasmo. Sotto il diluvio dei tagli, per il primo anno il Folk Club e Maison Musique non prenderanno un soldo dagli enti pubblici, e hanno messo su la serata forse più pantagruelica della loro storia grazie alla buona volontà di 140 musicisti, che si sono mossi «per le spese di viaggio, per metà delle spese di viaggio, o anche per niente». Da questo punto di vista, e solo da questo, c’è davvero da augurarsi che serate del genere non si debbano più ripetere.

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