TFF 3 | Harrison senza Scorsese

Il monumentale documentario sull'ex Beatles: meravigliosi materiali d'archivio, poche idee

Recensione
pop
L'accostamento di nomi fra Martin Scorsese (regista) e George Harrison (oggetto della regia) basta da solo ad alzare le aspettative per un documentario basato su materiali forniti e "approvati" dalla famiglia Harrison, e co-prodotto dalla vedova Olivia Arias. Living in the Material World, presentato al TFF, vive grazie ad una mole impressionante di documenti d’archivio inediti o raramente visti. E, putroppo, su questi materiali si adagia senza che uno sguardo d’autore provi a disciplinarli o a costruire un discorso, perdendo una splendida occasione. Un film di Scorsese in cui Scorsese non c’è - non conduce neanche le interviste - e in cui l’intervento autoriale è ridotto al minimo salvo alcune, rare, troppo rare trovate. E neanche tutte riuscite: perché – ad esempio – aprire il film con una stucchevole sequenza di immagini e audio di repertorio dell’Inghilterra appena uscita dalla guerra?
Senza un autore che si affacci, la qualità del film è discontinua e raggiunge i suoi picchi in funzione della qualità dello spezzone che stiamo vedendo, e delle dichiarazioni spontanee dell’interlocutore di turno. Un po’ come la monumentale Beatles Anthology, ma senza contraddittorio: in quasi tre ore e mezza di film (troppe) i molti (troppi?) intervistati – amici, colleghi, parenti – tendono a fornire, com’era ovvio, variazioni sul tema “quant’era speciale George”, “quanto era spirituale George”, “quanto era bravo George”, “quanto era sottovalutato George”, e via così. Ci sono, naturalmente, dei momenti alti e emozionanti e per i quali merita davvero sottoporsi alla lunga visione: McCartney che rievoca l’atteggiamento dei giovani Beatles verso l’“arte” («Certo, all’epoca non la chiamavamo arte, ma rock’n’roll»). La fotografa Astrid Kirchherr che descrive uno scatto con John e George ad Amburgo. Il racconto dei Monthy Python (George produsse il loro cult Brian di Nazareth). Il ricordo senza retorica del figlio Dhani («Ribellarsi, nella mia famiglia, significava andare a scuola»). Le divertenti riprese dei Traveling Wilburys in studio. Ringo che si commuove raccontando della sua ultima visita a George malato (e subito si riprende: "It's like Barbara fucking Walters in here!») e altri ancora.


L’intervista a Ringo

Il “tema” del film suggerito dal titolo - il bilanciamento fra il peso del material world e il mondo spirituale rimane sottotraccia per tutto il film come possibile chiave di lettura per provare a dare senso ad un'intera vita. Ambizione impossibile, anche in tre ore e mezza: si esce con la sensazione di non aver aggiunto molto all’immagine di George Harrison che ci eravamo costruiti prima di questo corale monumento alla sua memoria.

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