Tamarri dal mondo
Omar Souleyman accende MITO con la sua jihadi-techno
Recensione
world
Omar Souleyman è uno dei musicisti più cool sulla scena world: un siriano di mezza età, con veste lunga tradizionale, keffiah, occhiali scuri anche di notte, baffo curatissimo e l’aria da flaneur damasceno. Non parla. Intanto, «non parla di Siria» (e infatti non concede interviste, nostro malgrado); e poi non parla e basta, lasciando alla sua crew il compito di introdurlo sul palco. Non sorride e – nonostante la sua musica sia ritmicamente irresistibile – non si muove quasi, camminando per il palco con inspiegabile aplomb mentre canta, concedendosi ogni tanto – collocato il microfono sotto l’ascella – qualche contenuto battito di mani. Nel frattempo, dietro di lui, con quella fastidiosa noncuranza che hanno i virtuosi, il tastierista-dj-dubmaster-one man band-eccetera Rizan Said gestisce ritmi e suoni con pregevole gusto tamarro. La formula è una sola, ripetuta allo sfinimento: batteria elettronica, alternanza fra variazioni melodiche e break ritmici, Souleyman che canta e cantilla. Ma il groove è implacabile, e il sintetizzatore di Said contiene tutti i suoni della world music mediterranea, da Jajouka ai Dissidenten al Duo Oud, dai fiati-synth dal sapore kitsch alle darabouka iperaccelerate.
Souleyman, nato nel nord-est della Siria, attivo dal 1994, del cui mito fa parte anche l’aver pubblicato più di cinquecento dischi in patria (perlopiù session raccolte in feste e matrimoni) non è proprio un parvenu del circuito. Basta citare – fra i musicisti con cui ha avuto contatti – Caribou e sua maestà Björk, che gli ha affidato un remix di un brano dell’atteso Biophilia. Il suo “caso” conferma ancora una volta i meccanismi della world music: ciò che arriva, in occidente, è quel misto di esotico un po’ naïf, di cliché anche visivo (il look à la Gheddafi) e di suoni “occidentali”. La nuova tendenza, dopo l’onda lunga dell’elettrificazione delle musiche popolari, sembra essere ora quella dell’elettronificazione delle stesse con suoni electro-vintage: un passaggio dai Settanta agli Ottanta insomma, che ha portato sulla scena dell’elettronica più cool nuovi personaggi come, appunto, Souleyman (o come, dal Sudafrica, Shangaan Electro, per esempio; entrambi – non a caso – ospiti del Sònar di Barcellona negli ultimi anni).
Souleyman, nato nel nord-est della Siria, attivo dal 1994, del cui mito fa parte anche l’aver pubblicato più di cinquecento dischi in patria (perlopiù session raccolte in feste e matrimoni) non è proprio un parvenu del circuito. Basta citare – fra i musicisti con cui ha avuto contatti – Caribou e sua maestà Björk, che gli ha affidato un remix di un brano dell’atteso Biophilia. Il suo “caso” conferma ancora una volta i meccanismi della world music: ciò che arriva, in occidente, è quel misto di esotico un po’ naïf, di cliché anche visivo (il look à la Gheddafi) e di suoni “occidentali”. La nuova tendenza, dopo l’onda lunga dell’elettrificazione delle musiche popolari, sembra essere ora quella dell’elettronificazione delle stesse con suoni electro-vintage: un passaggio dai Settanta agli Ottanta insomma, che ha portato sulla scena dell’elettronica più cool nuovi personaggi come, appunto, Souleyman (o come, dal Sudafrica, Shangaan Electro, per esempio; entrambi – non a caso – ospiti del Sònar di Barcellona negli ultimi anni).
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