Sant'Anna Arresi 3 | Kip Rumba

Hanrahan e i suoi progetti sono l'evento del festival sardo

Recensione
jazz
«Ma dove diavolo si sono cacciati?!?». Kip Hanrahan si sta aggirando in cima alle gradinate della piazza del Nuraghe di Sant'Anna Arresi. Salvo il chitarrista Brandon Ross, che ha appena terminato un solo durante il quale gli altri hanno lasciato la scena, il palco è desolatamente vuoto: e nessuno sembra scalpitare per risalirci. Forse perchè mi ha visto in piedi, con al collo il pass del festival, senza conoscermi Kip ha scelto me per il suo sfogo. Mi scappa da ridere: il tono di autocommiserazione, da vittima dei propri musicisti, è irresistibilmente comico. In effetti non tutto funziona alla perfezione in Conjure, il primo dei tre progetti di Hanrahan in cartellone a Ai confini tra Sardegna e Jazz, presentato nella serata di apertura della rassegna. Il concerto ha alti e bassi: però uscirei di casa tutte le sere per andare ad ascoltare della musica con dei bassi ma anche con degli alti così.

La formazione è composita, alla maniera di Hanrahan: David Murray, che col suo sax tenore è uno dei musicisti di oggi che più ti possono comunicare il senso autentico del jazz: Murray qui suona con parsimonia, evitando di rubare la scena agli altri; Yosvani Terry, cubano trapiantato a New York, un eccellente sax alto che all'Avana ha suonato con Chucho Valdes e a New York tanto con un mago del latin jazz come Eddie Palmieri quanto con una figura del jazz più avanzato ed ambizioso come il sassofonista Steve Coleman; Brandon Ross, protagonista dell'avanguardia che è stato accanto, fra i tanti, a Cassandra Wilson e Henry Threadgill; Chris Thomas King, rinomato cantante e chitarrista blues della Louisiana; Fernando Saunders, vocalist e bassista con all'attivo una decina di album di Lou Reed; e ancora Anthony Cox al basso, John Beasley al piano, e tre emeriti percussionisti latini, Robby Ameen, americano di origine libanese, e Horacio El Negro Hernandez, cubano attivo negli Usa, alle batterie, e Luisito Quintero, venezuelano, ai timbales, gente che ha lavorato con artisti della statura di Palmieri e Ruben Blades. E poi c'è come dicitore Ishmael Reed: poeta e scrittore, autore del romanzo di culto Mumbo Jumbo (e anche jazzista amatoriale), è uno dei più importanti intellettuali afroamericani dell'ultimo mezzo secolo. Il progetto di Conjure, coagulatosi in un primo album dell'84 (a cui sono seguiti poi altri due capitoli), uno dei capolavori del Kip Hanrahan degli esordi, nacque proprio dall'idea di chiamare a raccolta musicisti con i più vari background ma unificati dalla passione per i libri di Reed e capaci di tradurne in musica la musicalità. Nella prima metà degli Ottanta Hanrahan fece epoca, oltre che con le sue originalissime e sofisticate atmosfere, con assortimenti di musicisti operanti ai più alti livelli in ambiti diversi: mix trasversali che a quei tempi erano un fatto decisamente nuovo e sorprendente. Quella di Sant'Anna Arresi è l'ennesima combinazione di Conjure: certo non c'è un Taj Mahal, che era il perno del primo Conjure, certo c'è qualche sganghero, ma viene fuori un vitalissimo, divertente caleidoscopio di rumba, soul, funky, blues: un blues che con la profondità voodoo che gli dà la densa base di percussioni latine, non potrebbe essere più intonato alla poetica dell'autore di Mumbo Jumbo.

Yosvani Terry, che ha fatto Conjure un sacco di volte in giro per il mondo, mi conferma che Hanrahan, a costo di qualche defaillances, vuole sempre cambiare, far venire fuori una cosa nuova. Yosvani è un musicista molto preparato: a New York guida un proprio quintetto di jazz, e per la metà dell'anno prossimo prepara un'opera contemporanea con orchestra di strumenti classici ma anche percussioni cubane, ispirata a El reine de este mundo di Alejo Carpentier, un classico del "real maravilloso" cubano. A Sant'Anna è arrivato da Salisburgo, dove è andato in vacanza a godersi qualche opera e un concerto di Pollini: «Sai, a Cuba noi studiamo la musica classica...», mi butta lì. Il giorno dopo Hanrahan prova per diverse ore alcuni passaggi di Beautiful Scars: Kip non è certo un direttore rigido, ma nemmeno incoerente, e la musica alla fine viene fuori. Si è aggiunto alle congas Richie Flores: nato a Brooklyn, cresciuto a Puerto Rico, poi tornato a New York, tracagnotto, aria da tamarro del barrio con la sua panza disinvolta e immancabilmente con berrettino a visiera e canotta, Flores, conguero di destrezza impressionante, sul ritmo non transige, e urla e stoppa la prova quando qualcuno si azzarda a sgarrare sul tempo. Mi colpisce che i musicisti latini parlano sempre fra loro in spagnolo, mentre Hanrahan, pur così in confidenza dall'infanzia nel Bronx con quel mondo, si rivolge a loro in inglese. La prova continua il giorno dopo al sound check. In concerto, con Ross, Saunders, Beasley, Ameen, Hernandez, Flores, Quintero, Terry, suo fratello Yunior al basso, Carmen Lundy, apprezzata cantante di jazz, e al sax tenore Charles Neville (Neville Brothers), tutto fila liscio, e la musica è magnifica: basti dire di certi momenti di funk perentorio su un'impalcatura di poliritmie latine che a chi ha adorato il Miles Davis elettrico possono far venire un tuffo al cuore; e di Ross che canta in maniera romantica, sognante, con la sua voce un po' androgina, con sotto, in splendida discrepanza, percussioni latine in piena combustione (e avere tirato fuori la musica latina dal suo ghetto dorato, e averla inserita in accostamenti fuori dal comune è uno dei grandi meriti di Hanrahan). Per Deep Rumba, ultimo episodio del trittico proposto a Sant'Anna, sono arrivate Xiomara Laugart e Haila Mompiè: Xiomara risiede da anni negli Usa; Haila, più giovane, continua a vivere a Cuba, ed entrambe sono molto apprezzate nell'isola. A differenza che a Verona Jazz nel 2000, quando Xiomara e i musicisti andarono a briglia sciolta, qui Hanrahan ha tenuto le redini, con un chiaro ruolo di coordinamento di Yosvani. Risultato, su per giù un godibile spettacolo di musica cubana, da ballare dall'inizio alla fine ma magari un po' troppo codificato per essere profondo: forse più Kip Rumba che Deep Rumba.

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