Sant'Anna Arresi 2 | Butch in Sardegna

Al festival l'omaggio sentito a Butch Morris, e alle sue conduction

Recensione
jazz
Per anni, fino alla prematura scomparsa all'inizio del 2013, Butch Morris riunì con cadenza settimanale una compagine orchestrale al Nublu, locale aperto nel 2002 nel Lower East Side di Manhattan dal musicista di origine turco/svedese Ilhan Ersahin.

Diventate un must musicale newyorkese, le serate della Nublu Orchestra, oltre che l'opportunità per Butch Morris di sperimentare in maniera continuativa la tecnica della conduction che aveva sviluppato, sono state uno straordinario laboratorio di creatività musicale, uno dei perni di tutta una scena downtown. Butch Morris ha concepito la conduction come un metodo applicabile in contesti diversi e con i più vari assortimenti di musicisti, non necessariamente di estrazione jazzistica e in confidenza con l'improvvisazione, e ha realizzato così meravigliose, originali conduction in tutto il mondo, molte memorabili in Italia e diverse a Sant'Anna Arresi.

Californiano, globetrotter, nondimeno con New York – dove si era spostato dopo la metà degli anni settanta – Butch Morris aveva un legame profondo, e della vita musicale della città è stato una delle figure cruciali. In questa edizione dedicata al compianto musicista afroamericano, in cui ha voluto "riportare" Butch in quella Sant'Anna Arresi dove si sentiva ormai a casa, bene ha fatto Ai confini tra Sardegna e Jazz a rendergli omaggio evocandone lo spirito anche nel suo habitat musicale naturale. Così per due sere, idealmente, il Nublu ha aperto i battenti di fronte al Nuraghe di Sant'Anna Arresi, sul palco del festival, con in scena la Nublu Orchestra: Ilhan Ersahin al sax tenore, Jonathon Haffner al sax alto, Graham Haynes alla tromba, Brandon Ross e Doug Wieselman alle chitarre, Michael Kiaer al basso, e Kenny Wollesen che si è diviso tra batteria e direzione.

Veramente formidabile, vitale, emozionante, in particolare la prima esibizione. Senza soluzione di continuità, il set si è snodato col filo conduttore di una lucida, vigile tensione creativa ed esecutiva, capace di dare una sorta di "logica" consequenzialità ad una varietà di situazioni che si succedevano in una dimensione di eccitante imprevedibilità. Dentro, di ogni: il rock non come cliché ma come esperienza sonora, il senso della spazializzazione degli elementi del Miles Davis elettrico, l'inquietudine di Ayler, la poesia, la sapienza coloristica di un Ellington proiettato nell'oggi... Non convenzionale, una musica di carattere davvero newyorkese, in cui si sente il peso specifico di una storia, di una "tradizione" metropolitana che si rinnova di continuo, con musiche sedimentate e ruminate, e restituite come in una sorta di fermentazione naturale, senza ombra di ricalchi e di rivisitazioni scolastiche; e in cui è palpabile anche l'importanza dell'intesa, dei riflessi che nascono dall'esercizio, dalla condivisione costante di una pratica, di un universo musicale.

Wollesen, bravissimo, non ha certo riproposto alla lettera il sistema di conduction di Butch Morris: ma in un omaggio sostanziale ha dato la dimostrazione di quanto possa essere effettivo il ruolo di direzione/composizione in tempo reale di un gruppo di improvvisatori. Il suo stesso alternarsi fra la batteria e la direzione ha introdotto un elemento di disomogeneità nella musica, che per lunghi segmenti ha tradotto l'assenza della batteria in una possibilità in più di libertà, agilità, dinamismo. Ma proprio sui rischi della reiterazione, dell'adagiarsi su una soluzione, su un riff, su una scansione ritmica, Wollesen è intervenuto con intelligenti stop selettivi, operando giudiziosi differimenti del piacere.

Qualche punto debole in più nella seconda esibizione, con oltre a Wollesen anche passaggi diretti da Ross o da Haynes, e l'aggiunta di Hamid Drake, con un effetto di troppo pieno, non dovuto ad Hamid ma alla ridondanza in sé della presenza costante della batteria.

Un Hamid Drake che, dopo avere brillato con il quintetto e con il Large Ensemble di Evan Parker, è apparso straordinario per vivacità, dinamismo, frequenti cambi di marcia in trio con William Parker al contrabbasso e John Dikeman ai sax tenore e alto: anche quando il giovane sassofonista strillava e ululava, il pizzicato di Parker cantava e il drumming di Drake danzava, è stato di fatto proprio Drake a guidare. Cresciuto in Wyoming, Dikeman ha frequentato ottime compagnie tra Bennington College, New York, Philadelphia, Medio Oriente (dove è stato in contatto con la stimolante scena radicale libanese) e Amsterdam, dove adesso vive; bianco, mostra però, e in maniera molto convincente, di ricollegarsi ad una linea di sax tenori neri, Ayler, Shepp, David S. Ware. Ottimo set, e gustoso il finale in cui Parker lo ha affiancato ad uno degli strumenti a fiato che il contrabbassista ama, il gralla, utilizzato nella musica popolare catalana.

Di un po' di conduction - potremmo considerarlo un omaggio involontario a Butch - ci sarebbe stato bisogno ad un certo punto con Carved in the Air, con la voce di Julie Tippett, Keith Tippett al piano, Roberto Ottaviano al soprano e all'alto, Giovanni Maier al contrabbasso e Cristiano Calcagnile alla batteria: il quintetto è partito benissimo, con una musica informale, intensa, equilibrata, coerente, un bel amalgama di voce e strumenti; l'interplay però poi si è sfilacciato un po', cadendo in alcuni momenti un po' banali, e non per responsabilità degli italiani, che hanno suonato sempre benissimo, ma in particolare per alcune ovvietà e una eccessiva presenza di Julie Tippett, che avrebbe dovuto lasciar respirare di più la musica.

Qualunque cosa faccia, Rob Mazurek riesce sempre a tenersi su un livello alto, e a comunicare l'idea di stare cercando davvero l'espressione: e così è stato anche in un sentito omaggio in solo a Butch Morris, reso combinando suggestivamente cornetta, piano, elettronica, campanacci e voce, e concluso con una sorta di invocazione in cui il trombettista si è rifatto a un canto di indiani del Texas, lo stato dove Mazurek si è qualche tempo fa trasferito.

Confesso di non ritrovarmi nell'entusiasmo di Luca Canini per la Fire! Orchestra, ma abbiamo ascoltato due concerti diversi: non solo nel senso che Luca l'ha ascoltata a Saalfelden e io a Sant'Anna, ma che in Sardegna mancava una delle due cantanti e qualche altro elemento della formazione. Meglio quindi rinviare ad un'altra occasione un giudizio più definito, ma la Fire! che ho ascoltato l'ho trovata francamente di grana un po' grossa, con reiterazioni un po' troppo reiterate e un giocare all'avanguardia più che esserlo davvero.

All'ingresso dei concerti erano esposte alcune fotografie di Butch scattate da Luciano Rossetti. Due in particolare mi hanno colpito, due ritratti in interni, con una bellissima resa del colore. Le si possono trovare nel libretto di accompagnamento a The Composition of Conduction, un DVD realizzato da Rossetti in collaborazione col festival contenente una serie di immagini di Morris impegnato nelle sue conduction. Al primo momento vedere quelle foto è stato un tuffo al cuore: sembrava proprio di nuovo lì, Butch, con noi che abbiamo avuto il privilegio della sua musica e della sua compagnia a Sant'Anna Arresi.

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