Sant'Anna Arresi 1 | Filu 'e Ferru

Ai confini tra Sardegna e Jazz con Evan Parker

Recensione
jazz
Sarà il cartello che accoglie all'ingresso dell'abitato, "Sant'Anna Arresi, città del vino e della musica" che favorisce l'associazione, ma riascoltando la registrazione del concerto dell'inedito quintetto di Evan Parker proposto all'inizio dell'anno da Ai confini tra Sardegna e Jazz (edizione invernale di recupero di quella saltata nell'estate 2014: ne avevo riferito in un blog del 7 gennaio scorso), mi ero ritrovato a pensare alla fluidità del sax tenore, alla pienezza dell'espressione, al sound "corposo", all'intensità del colore timbrico, insomma alla fisionomia che il caposcuola dell'improvvisazione europea aveva mostrato nello specifico contesto di quel gruppo, come a delle "caratteristiche organolettiche" di un rosso di qualità, tipo quelle - per stare nell'area di Sant'Anna Arresi - di un Carignano del Sulcis.

Buffo poi scoprire che come titolo per l'album - prodotto dall'associazione Punta Giara, responsabile del festival - in cui il concerto si è nel frattempo tradotto, Evan Parker aveva personalmente scelto Filu 'e Ferru: avendo in mente - si può immaginare - qualcosa di emblematico della Sardegna che ben si accompagnasse alla denominazione del gruppo come Sant'Anna Arresi Quintet, e alle belle immagini di copertina dell'elegante confezione scattate a Gavoi, in Barbagia, dal fotografo sloveno Ziga Koritnik; o forse memore delle temperature polari toccate durante l'edizione invernale della rassegna, quando l'acquavite certo era di aiuto; e - supponiamo - senza invece voler dare un'indicazione metaforica particolarmente aderente al contenuto.

Perchè la musica del Sant'Anna Arresi Quintet è sì forte, e di gradazione consistente, ma non estrema: come si è potuto verificare con la nuova esibizione del gruppo al festival, rientrato nella carreggiata estiva con una edizione robusta e più compatta del solito dal primo al 6 settembre. Avendo già scritto di questo quintetto di Parker con il trombettista Peter Evans, il pianista Alexander Hawkins, il contrabbassista John Edwards e il batterista Hamid Drake, basti qualche cenno.

Per quanto riguarda Evan Parker, in diversi momenti del set sembrava di poter cogliere una crescente propensione di questo maestro dell'improvvisazione radicale a tornare alle sue origini jazzistiche, propensione che contribuisce ad arricchire ulteriormente il ventaglio dei suoi registri espressivi. Quanto al gruppo nel suo insieme, ad una seconda prova si confermava la godibilità, l'eleganza, l'equilibrio della musica in termini assai diversi dalle modalità più tipiche, più "idiomatiche" dell'improvvisazione radicale, e l'importanza decisiva, per far montare la panna, per creare il corroborante amalgama di cinque spiccate personalità, di un batterista non di scuola radicale, afroamericano, come lo splendido Hamid Drake.

Oltre a consentire di rendersi conto della gamma di sfaccettature dell'espressione individuale di Parker, con tre sue esibizioni ai primi di gennaio e quattro in questa nuova edizione, Ai confini tra Sardegna e Jazz ha offerto non solo una magnifica illustrazione dell'arte del settantunenne musicista, ma anche una esemplare dimostrazione di come ai suoi più alti livelli l'improvvisazione, lungi dall'adagiarsi in comodi cliché, viva del concreto interplay di particolari individualità: basta modificare qualche elemento e la musica cambia completamente.
Come nei concerti di inizio d'anno si era potuta ammirare la pronunciata differenza, malgrado tre componenti in comune, tra la musica del Sant'Anna Arresi Quintet e quella del quartetto di Parker con Evans, Edwards e alla batteria Louis Moholo, questa volta colpiva il corso diverso della musica del Quintet rispetto a quella del quartetto con Evans, Barry Guy al contrabbasso e Paul Lytton alla batteria. Quartetto, quest'ultimo, la cui musica si è presentata con una fisionomia a sua volta distintissima rispetto a quella del quartetto con Evans, Edwards e Moholo ascoltato a gennaio, pur sovrapponibile per metà.

Il quartetto presentato questa volta a Sant'Anna proponeva in sostanza lo storico trio Parker/Guy/Lytton - un classico dell'improvvisazione europea - integrato da Evans. C'è intanto già una stimolante dialettica tutta interna alla ritmica, fra la percussione minuta, disarticolata, ossuta di Lytton - che di per sé induce un clima assai diverso rispetto ai drumming di un Moholo o di un Drake - e una punta di edonismo di Guy, vigoroso nel pizzicato, con fulminanti uscite di straordinaria finezza timbrica, e autorevole, quasi imperioso con l'archetto. Al tenore Parker tende qui ad essere cogitabondo, ombroso, notturno, mentre è più pungente al soprano. Affiatatissimo con Guy e Lytton, Parker mostra un'intesa straordinaria con Evans. Con una musicalità e un senso dell'attimo eccezionali, Evans coglie al volo idee e possibilità, e con una sensibilità che rivela il suo background classico e classico/contemporaneo, con la tromba o la pocket trumpet va a nozze con il tenore o il soprano di Parker: le situazioni che si creano sono dei gioielli di fantasia, spesso di grande grazia e di leggerezza, e disegnano un universo poetico estremamente originale rispetto a stilemi sia jazzistici che radicali. Quaranta minuti filati e senza rete, perfetti, che meriterebbero senza dubbio un altro album prodotto dal festival. Per un titolo, con la varietà di vini e liquori sardi a disposizione, Evan Parker avrebbe solo l'imbarazzo della scelta.

Dal punto di vista dell'organico il quartetto e il quintetto di Parker stavano in posizione intermedia fra i due estremi delle altre due sue proposte, il solo con cui ha aperto il festival e un Large Ensemble di tredici elementi più il leader. Alquanto inusuale il solo, al soprano, per una certa fluidità abbastanza semplice, senza particolari saturazioni e macerazioni: una ventina di minuti iniziali pressoché senza soluzione di continuità con la tecnica della respirazione circolare, poi in una seconda parte dei momenti inclini alla melodia, in cui ci è quasi parso di sentire emergere persino un fondo di folclore.

Più unica che rara un'esibizione di Evan Parker in cui il musicista britannico nemmeno tocca i suoi strumenti, e si limita a dirigere, in modo peraltro assai discreto. Oltre a Evans, Hawkins, Guy, Edwards, Lytton e Drake, della partita Caroline Kraabel (sax alto), Giancarlo Schiaffini (trombone), Walter Prati (con Parker solitamente dietro il computer nei progetti elettroacustici del sassofonista, e qui al violoncello), Hannah Marshall (violoncello), Orphy Robinson (vibrafono), Pat Thomas (tastiera/elettronica), Sam Pluta (computer/elettronica), e come special guest un altro Parker, il newyorkese William Parker, che mancando per un disguido un terzo contrabbasso, ha ripiegato sullo shakuhachi e altri strumenti a fiato, il che non ha guastato.

L'improvvisazione guidata da Parker si è snodata in momenti di grande bellezza (fra cui un assolo di Schiaffini su cui è intervenuto Pluta), ma forse con un deficit di "giustificazione" complessiva: però nell'ascolto di musica di questo genere conta spesso la disposizione del momento, e a onor del vero altri addetti ai lavori e appassionati oltre a singoli episodi hanno trovato sublime anche l'insieme. Il lavoro era un omaggio al compianto Butch Morris, a cui l'edizione di quest'anno era dedicata: con il musicista afroamericano, a cui si deve lo sviluppo di un originale, non convenzionale metodo di direzione, la "conduction", Ai confini tra Sardegna e Jazz aveva in effetti stabilito un rapporto molto speciale. Ma su questo e altri aspetti della rassegna ritorneremo.

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