Rottamare De Gregori

L'Orage in concerto con il "Principe" a Saint Vincent

Recensione
pop
Da un certo punto in poi nella storia della canzone d’autore italiana, l’immagine di molti cantautori "classici" sembra essere quella di una conventicola di amici rimasta legata ai suoni che andavano forte ai loro tempi, con i tardi Ottanta-primi Novanta come orizzonte ultimo del sound “contemporaneo”: e allora giù di chitarre col chorus, di quel basso-che-va-insieme-alla-batteria, l’acustica equalizzata sempre in quel modo, la voce registrata sempre in quel modo. È una cosa che – da fan – è difficile perdonare a molti di loro; l’aver pensato, con rare eccezioni, che un indiscutibile valore letterario bastasse alle canzoni, lasciando la scelta di un sound e di arrangiamenti freschi nella lista degli optional. E - si potrebbe andare avanti - costringendo la canzone italiana all'inesportabilità (fra i più noti all'estero, guardacaso, ci sono De André e Capossela, due dei più attenti alla musica dei loro dischi).

Per cui, nell’anno 2013, il paradosso è che dall’incontro tra Francesco De Gregori e L’Orage chi ci guadagna di più - in termini artistici - sembra essere proprio il Principe. L’Orage (di cui parliamo anche qui) è un gruppo di giovani valdostani, recenti vincitori di Musicultura. Avendo trovato un po’ di risorse, la disponibilità del Palais di Saint Vincent e un po’ di coraggio, hanno pensato di invitare De Gregori (di cui il cantante e autore dei testi Alberto Visconti è devoto allievo) a cantare con loro i suoi pezzi, riarrangiati per l’occasione.

Operazione rischiosa, in cui è proprio il “coraggio” a fare la differenza: potendo mettere sul piatto un suono molto personale – che ha il suo punto di forza nei dialoghi fra violino/ghironda e organetto/sax/clarinetto dei due fratelli Boniface (Rémy e Vincent, la metà più giovane dei Troveur Valdotèn) – L’Orage gioca senza rete, si appropria del repertorio e lo rivolta senza timori reverenziali. Aggrediti con un approccio piuttosto “progressivo”, con frequenti cambi di tempo e inserti “da bal folk”, i pezzi di De Gregori rivelano una malleabilità inaspettata, anche laddove la staticità dell’arrangiamento originale sembrerebbe sconsigliare ogni tentativo di “rottamazione”. Qualche esempio? “I muscoli del capitano” (che apre il set con De Gregori) parte ben riconoscibile, poi inserisce una mazurca, cita brevemente “Il tragico naufragio della nave Sirio” e riprende normale; oppure, l’andamento monocorde di un brano come “L’aggettivo mitico” (da Amore nel pomeriggio), che viene sorprendentemente movimentato da un mash-up con un rigaudon... Ma non è solo l’orizzonte folk e del ballo a interessare a L’Orage, che vira ora sul suo coté più hard mettendo insieme ghironda e chitarra elettrica (“L’agnello di Dio”), ora verso ritmi in levare e suggestioni dixie (“Renoir”). Un bel giro di idee, esercitate anche lontano dal De Gregori più noto (in scaletta anche brani “minori” come “Il guanto”, o “Belle Époque” dall’ultimo disco...): la rottamazione - o il riformismo radicale? - sono la via migliore per un tributo sentito. Auguriamo – all’Orage e alla canzone d’autore – che se ne convinca anche De Gregori.

Immagine rimossa.


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