Reality show
Il successo dei Die Antwoord al Magnolia di Milano
Recensione
pop
Riconosciuti come uno dei più clamorosi casi di successo "dal basso" nell’epoca di internet, sui sudafricani Die Antwoord si potrebbe probabilmente scrivere un saggio. Il topic dovrebbe essere quello della ricezione di determinati fenomeni musicali in determinati ambienti (o sub-culture?) e dell’autenticità – parametro su cui, anche in piena era digitale, continuiamo a fondare buona parte delle nostre estetiche.
Il gruppo è esploso sulle scene internazionali intorno al 2009, grazie ad un video ben girato e ad un ritornello accattivante (“Enter the Ninja”), sul cui sfondo si stagliava un immaginario kitsch estremo, fatto di rime hip hop taglienti, spesso in slang sudafricano, costumi assurdi (vedi foto) e volgarità assortite. Troppo brutti e freak per ([i]non[/i]) essere veri, si è pensato: uno spilungone tatuatissimo, una ninfetta bionda e un’inquietante dj mascherato, oltre all’altro protagonista di quel video, il dj e artista multimediale Leon Botha, ammalato di una rara malattia degenerativa e ora defunto: personaggi di uno strano reality show, si direbbe.
Dunque, autenticità hip hop da ghetti bianchi di Cape Town o progetto costruito a tavolino? Personaggi o persone? Le prese di posizione del gruppo, che avrebbe rifiutato di pubblicare il secondo disco sotto major, e la ricca attività live (di altissimo livello) hanno intanto complicato la questione. In questo dubbio, i Die Antwoord sono stati adottati non tanto dal circuito hip hop, quanto da quello elettronico più [i]hip[/i], felice di poter contare su un diversivo divertente e socialmente “approvato”; un paio di partecipazioni al Sònar di Barcellona bastano come biglietto da visita. Il loro primo passaggio italiano, al Magnolia di Milano, ha confermato tanto il loro ascendente sul pubblico indie quanto la loro potenza dal vivo, anche senza effetti speciali (visti al Sònar 2011, si esibivano con pupazzi itifallici gonfiabili e costumi vari di corredo). Questo costruitissimo dubbio sulla loro autenticità è il loro punto di forza: li si guarda, all’interno degli inattesi circuiti in cui si sono affermati, con l’occhio a metà fra la contemplazione di un buon selvaggio e l’ammirazione per aver saputo costruire una musica e dei personaggi così inautentici da sembrare veri. Come in un reality show.
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